LANCIATI NEL FUTURO. SENZA DESIDERARE IL PASSATO. di Alberto Abruzzese
Una risposta da docente. Che si possa parlare di una crisi radicale della comunicazione letteraria in quanto spazio relazionale fondato sulla scrittura non è questione da poco. Affrontarla, significa mettere in gioco il buon numero di testi che hanno ragionato e stanno ragionando su questo nell’evidente paradosso di scritture che tentano di negare il proprio stesso linguaggio (ma la stessa modernità non è forse il più grande paradosso che i processi di civilizzazione hanno prodotto nell’umano mondo dell’esperienza?) Questo manca alla tua “lettera” (il tu o il lei è questione delicata, nel rapporto di un docente con i suoi discenti, ma in me prevale sempre il “maleducato” paternalismo affettivo del tu di fronte a qualsiasi studente che mi sembri prendere seriamente a cuore i propri studi). E’ una lettera drammatica, spiritosa, appassionata, umanamente e socialmente molto comprensibile, ma che altri da me direbbe poco “scientifica”. Io penso semplicemente che non sia strategica (forse soltanto un poco tattica). Vale a dire che, per chi abita l’Università – persino questo disastro di università che è “La Sapienza” – l’unico modo di pensare in positivo dovrebbe essere quello di cercare o elaborare idee radicalmente diverse dal passato, strumenti adatti ad affrontare su solide basi speculative il disagio della condizione di un giovane che vuole “agire” in un mondo che sembra offrire sempre meno una risposta “giusta” alla necessità e al desiderio di raggiungere un ruolo nella propria vita. Ad esempio: la vostra rivista si lancia nel futuro con molta zavorra di luoghi comuni sul conflitto tra letteratura e televisione, autori e spazzatura. Lasciate questo lamentoso scemenzario (o nei casi più nobili – come il vostro – queste battaglie di retroguardia) al ciarpame intellettuale che anima le stesse istituzioni, le stesse imprese, gli stessi mercati che vi fanno da barriera quotidiana. Dicendo questo, so bene di assumere una posizione offensiva nei vostri confronti. Mi spiace. Ma credo che da nessun punto di vista vi “convenga” ragionare nei termini del “rimpianto” di ciò che non c’è più o quantomeno è stato desiderato nel passato. Per tutti noi, credo, il problema è diametralmente opposto: come riuscire a non desiderare più quello che c’è stato e che, in quanto realtà, ha anche fatto da condizione e da limite per ciò che vi si opponeva.