Recensione scientifica ad Aliene di Michele Infante
RECENSIONE ad “Aliene” di Michele Infante
Un testo che apre nuovi scenari allo studio dei media
di Raffaele Amosella
In questo testo, sociologia, letteratura e arte s’incontrano per pensare e riflettere la rappresentazione di genere negli immaginari post-moderni della fantascienza. Spesso si è sottovalutato il ruolo che gli immaginari popolari e la letteratura di fantascienza giocano nel raccontare il presente, mentre fingono di parlare del futuro. Certamente la fantascienza è un genere minore, spesso trascurato dagli studiosi accademici: sia di cinema, sia di letteratura, sia delle forme artistiche e culturali. Ma se si guarda alla storia del cinema e della letteratura dalla parte degli spettatori, si nota che nessun altro genere cinematografico può vantare successi blockbuster come la fantascienza. Nessun altro genere ha lasciato una traccia così profonda sugli immaginari postmoderni e ha avuto un rilievo cross-mediale nei diversi media (dai videogames, ai videoclips, dalla musica pop ai cartoons, dai fumetti ai comics).
A Michele Infante interessa capire cosa spinge milioni di persone, di ogni razza, genere e religione ad accorrere in massa nelle sale cinematografiche dove si proiettano film di fantascienza, a vivere i personaggi da questi creati come simboli ed icone, a professare un vero e proprio culto nei loro confronti..
In questo senso, questo testo è un testo di sociologia dell’arte e della letteratura, perché a differenza di studi che si concentrano su grandi libri o grandi film letti da pochi, da happy few e piccole elite intellettuali, lavora invece sugli archetipi profondi dell’inconscio collettivo, sulla fascinazione di testi e film che hanno un’elevata diffusione e penetrazione sociale. Film che appassionano e coinvolgono milioni di individui di ogni livello di alfabetizzazione e di ogni ceto sociale e che vengono riproposti in altri media (dai videogame alle serie televisive, dai fumetti ai cartoons) fino a creare vere e proprie saghe, o come si dirà nel testo dispositivi mitopoietici. Film e libri che ispirano nuove mode culturali, parchi giochi tematici, gadget, comunità di appassionati, fino a diventare veri e propri modelli di emulazione. Mentre diffonde le proprie icone, i volti dei personaggi più popolari, l’immaginario della fantascienza veicola anche i propri valori simbolici. A ciò va aggiunta, la capacità della fantascienza di inglobare ed annettersi altri generi e contaminarsi con il thriller, con la spy-story, il giallo e con gli stereotipi delle grandi storie romantiche. In tal senso, la fantascienza si configuri come una sorta di “meta-genere” della post-modernità.
Da sempre la figura del mostruoso, dell’alieno e dello straniero abita gli immaginari umani. L’iconografia dell’antichità presenta numerosi esempi di figure antropomorfiche, metà uomo o metà animale (il Minotauro o il Centauro) o metà donna e metà animale (come sono le Arpie, la Sfinge o la Sirena), ma l’immaginario post-moderno produce un nuovo tipo di figura antropomorfica: il Cyborg, il quale è metà uomo/donna e metà tecnologia. Il cyborg è la rappresentazione di un’identità di genere non definita. Nella sua versione femminile, il cyborg-donna, infatti, conserva gli attributi di forza e coraggio, capacità di azione; con il cyborg, per la prima volta, la donna diventa protagonista di un film d’azione. Infatti, fatta eccezione per la figura delle Amazzoni, non esistono narrazioni mitopoietiche in cui donne sfidano l’ordine precostituito e agiscono come eroine. Se l’immaginario hollywoodiano ha sempre rappresentato una donna debole da salvare, da curare o da proteggere, la cui unica arma è la seduzione (si pensi a King Kong), l’immaginario postmoderno invece mette in scena donne bioniche, donne forti, donne dotate di potere, o meglio super-poteri (si pensi ad eroine come Wonder Woman o Lara Croft).
Il testo, inoltre, poggia su solide basi filosofiche e metodologiche. L’idea vichiana d’indissolubilità tra filologia e pensiero, mito e civiltà, immaginario e sapienza guida la riflessione dell’autore. Proprio come Vico sosteneva che, tramite il mito, con il suo bagaglio di eroi e divinità, nasceva la civiltà umana, allo stesso modo l’autore considera il mito del cyborg come un’icona della società contemporanea. Il mito, nella concezione vichiana, non era solo una favola o una verità presentata sotto le spoglie della fantasia, ma era piuttosto una verità elaborata dagli antichi che, incapaci di esprimersi razionalmente, attraverso universali fantastici, raccontati sotto spoglie poetiche, presentavano modelli ideali universali. Per Vico, quindi, nelle storie e nei saperi prodotti dagli esseri umani si celano idee e pensieri dell’umanità. Non a caso Michele Infante inizia la sua analisi degli immaginari proprio dalla nota metodologica dai significati allegorici dell’icona femminile al centro della copertina della Scienza Nuova: dal maschile (Adamo) al femminile (la Metafisica).
In tal senso, una lettura politica dell’immaginario cyborg fa di quest’ultimo un’icona della crisi di genere: l’ultima incarnazione di quelle femminilità mostruose attraverso gli immaginari storici che viene questa volta ad essere ibridata e messa in relazione con la tecnologia.
L’excursus storico sui miti del femminili, inizia con le Amazzoni e la mitopoiesis antica degli scrittori e dei poeti greci e latini, per passare poi alle rappresentazioni del femminile della modernità, pensiamo alla figura seminale di Carmilla, la donna vampiro. Da sempre il mostro, affascina con la sua bellezza del male e del misterioso La ricostruzione dell’immaginario femminile, vede infatti, come madri mitopoietiche del cyborg: streghe, vampire, femme fatale e le lady killer. Dalla fantascienza misogina in lingua greca di Luciano di Samosata, si arriva infatti, ai bestiari medievali, per giungere infine alle macchine della modernità: alla figura dell’automa.
Attraverso la lettura storica delle femminilità mostruose si giunge alle nuove soggettività virtuali in Rete, a quelle che l’autore definisce «tecno(icone) del femminile». L’analisi di genere, infatti, si muove tra fruizione cinematografica e rappresentazione del corpo, tra artificializzazione del corpo femminile e rappresentazione della sessualità, fino ad una riflessione sulla meccanica sessuale del corpo che muove dalla relazione sesso-violenza in Sade, per giungere alle macchine celibi di Marcel Duchamp. Si giunge così al Novecento, il secolo della fantascienza: dove la paura per i mostri al femminile s’intreccia alla paura per la pervasività della tecnica dalle armi atomiche e di distruzione di massa) e della politica (i regimi totalitari come in 1984 di Orwell). Politica e tecnica sono infatti, i due regimi di discorso che sottendono alla figura del cyborg.
Dal mostro al cyborg, dal divino al tecnologico – l’approccio multidisciplianre dell’autore – partendo dall’origine del concetto di cyborg, giunge a riconfigurare la sensibilità contemporanea, ed ad individuare nel cyborg il «dispositivo mitopoietico» dell’immaginario post-moderno.
Si delinea in tal seno una vera e propria estetica cyborg, dove mo(n)strare il mostro: diviene un processo fondante dell’immaginario e assume connotazioni ontologiche forti, determinando una vera e propria filosofia della «nuova carne». Infatti, caratteristica del cyborg è la sua carne indifferenziata, il corpo del cyborg come la nuova carne o tecnovita autogeneratasi, non ha una sua identità corporea. La fantascienza prova così a rappresentare l’irrappresentabile della post-umanità.
In tal senso, emerge la dinamica doppia di un sorvegliare-controllare aspetti del corpo femminile come la maternità, ed «illuminare» l’alterità della femminilità. Si sviluppa in questo modo una riflessione su quella che l’autore chiama una «nuova sensibilità inorganica» (Mario Perniola), una nuova senilità androgena che ci interroga sul come si costruisce il senso della realtà di genere.
L’analisi della mitopoiesi della fantascienza: diviene per tanto la ricerca di nuovi miti di genere per nuove soggettività, e li dove vi sono figure di donne-replicanti e donne-visitors vi è anche il desiderio di fuggire un’immagine schiacciata e stereotipata della donna. Per l’autore, rappresentare il cyborg-mutante: significata rappresentare il mutamento sociale che stiamo vivendo, dalle nuove pratiche delle Reti e del cyberspazio alle identità sessuali-virtuali di Internet. Dentro gli immaginari della metropoli virtuale della rete, tra spazi sociali e generi sessuali, tra la donna e l’alieno, emerge infatti, la nuova cultura del cyberfemminismo. Sia infatti, il cyberpunk, sia il cyberfemminismo, si collocano infatti oltre il confine di genere e provano a rappresentare diversamente il femminile: mettendo in crisi la fissità del concetto di genere.
Sul versante della riflessione filosofica ed antropologica i riferimenti dell’autore sono e alla tradizione degli studi femministi (da Luce Irigaray a T. De Lauretis), re-interpretati alla luce dell’analisi simbolica sul cyborg di Donna Haraway. La tradizione di studi femministi è integrata dalle più significative riflessioni filosofiche del Novecento (da Edmund Husserl a Michel Foucault) e dell’analisi comunicativa, dalle tecniche di riproduzione dell’immagine (Walter Benjamin) alla mediologia (Marshall McLuhan, Alberto Abruzzese). Sul versante estetico, troviamo l’analisi della letteratura fantastica di Todorov e l’estetica dell’inorganico di Mario Perniola. Le scritture e le analisi sulla figura del cyborg di Antonio Caronia e Naief Yehya.
In tal senso, una lettura politica dell’immaginario cyborg fa di quest’ultimo un’icona della crisi di genere: l’ultima incarnazione di quelle femminilità mostruose attraverso gli immaginari storici che viene questa volta ad essere ibridata e messa in relazione con la tecnologia.
Infatti, l’analisi dell’autore si spinge fino alle pratiche contemporanee del montaggio cinematografico, delle riprese di scena e delle tecniche fotografiche di digitalizzazione, che cambiano il modo di rappresentare il corpo, un corpo che perde il suo realismo per divenire una fantasmagoria. In tal senso, l’autore dimostra come sia proprio la cinepresa e l’occhio virtuale del media ad operare una pornografizzazione del corpo femminile, ponendo il corpo al centro della scena. E’ questo il motivo per una riflessione anche sulle relazioni tra corpo e sesso, incentrato sopratutto sul concetto di «biopotere» di Roberto Esposito e su quello di «nudità» di Giorgio Agamben. Per l’autore, nel cyborg la compresenza dell’esperienza del dolore e del piacere, della sofferenza e della voluttà, dello strazio e del godimento, aprono ad sentire diverso, eccessivo, proprio perché “eccedente” all’identità di genere stereotipata. In questo luogo della sensibilità inorganica, freddezza e teatralità, delegazione ed attesa, sottomissione e rivincita, umiliazione e rinascita, sono inseparabilmente congiunti.
Concludiamo, con il dire che questo testo è anche una risposta a chi pensa che siamo vivendo in una fase in cui la letteratura ha perso il suo valore e significato sociale, è la science fiction del secondo dopoguerra americano ad aver prodotto questi immaginari, immaginari che nonostante siano “popolari” non sono solo dominati dalle forme anestetizzante della cultura di massa, anzi racchiudono forme di denuncia e critica sociale, progetti futuribili di un umanità che si pensa diversa, altra, mutante. Ma soprattutto, in questo testo Michele Infante è capace di restituire all’arte (Marcel Duchamp), al cinema (dai film di Fritz Lang a quelli di Gorge Lucas e Ridly Scott), alla letteratura (da Sheridan Le Fanu a Bram Stoker a Philip Dick a William Gibson) – senza dimenticare le icone femminili dei video-game (Lara Croft), dei fumetti (Wonder Woman), dei cartoons (o Pan o Bulba di Dragon Ball) – il loro significato sociale ed antropologico.
Il libro si conclude, pertanto pensando la fantascienza ed il cyberfemminismo come scenari di futuro, come configurazioni di nuove rappresentazioni nella costruzione della realtà di genere. Infatti, la fantascienza con la sua ansia e la sua aspettativa di futuro, fa si che l’identità di genere divenga una nozione retrospettiva.