Racconti

LE BARZELLETTE Vincenzo Cerami

Saranno state le quattro e un quarto di mattina. Il signor Cossa fu svegliato da una voce che sembrava venire dall’oltretomba.
– Signor Cossa – gridava quella voce – mi apra… per l’amor di Dio, mi apra!
L’uomo si destò spaventato. Riconobbe subito la voce del condomino, un mite agente di pubblica sicurezza dall’aspetto giovanile che abitava al piano di sopra. Corse alla porta, l’aprì, ma non vide nessuno. Gli sembrò di muoversi nel pieno di un incubo un po’ buffo. Ma la voce lo chiamava ancora: – Signor Cossa…
Si girò, fece due passi intorno senza sapere da che parte andare. Finalmente capì che il coinquilino stava fuori della finestra, e batteva i pugni contro le persiane. Lì per lì gli prese un colpo, perché quello era il sesto piano. Come faceva il poliziotto a trovarsi fuori di una finestra del sesto piano senza balcone? Andò nella sala da pranzo e accese la luce, gridando: – Eccomi, eccomi… stia calmo, non si muova!
La moglie del signor Cossa dormiva pesantemente e non si accorgeva di nulla. Aperta la finestra, Cossa si vide davanti il frastornato poliziotto, in pigiama, gli occhi di fuori e la bocca stretta per un dolore alla schiena.
– Mi faccia entrare, per favore…
– Ma cosa le è successo? -, chiese Cossa scoppiando a ridere.
– Mi sono sporto un po’ troppo dalla finestra e sono caduto sull’impalcatura -. Cossa guardò bene fuori e vide che in effetti contro la facciata del palazzo era piantata un’impalcatura di tubi innocenti per lavori di ristrutturazione.
Fu preso da un altro scossone di risate. – Bella fortuna che ha avuto, avrebbe fatto un bel volo! Venga, scavalchi pure… piano! – Quello, tenendosi la schiena dolorante con una mano, entrò nella sala da pranzo.
– Che dolore!
– Ma come ha fatto a cadere dalla finestra?
– Non lo so… m’ero affacciato per prendere aria, mi sentivo come soffocare, m’è girata la testa, qualcosa ha ceduto… È colpa degli operai, lavorano con i piedi.
Cossa tirò un bel sospiro, poi riprese a ridere. – Caspita, se non c’erano i lavori adesso lei era appiattito come una sogliola sul marciapiedi in mezzo al sangue. Io sono rientrato tardi ieri sera e non sapevo dell’impalcatura.
– L’hanno montata questa mattina, in quattro e quattr’otto. Non me lo ricordavo neanche io che c’era. Sono stato fortunato. Ahi, che male alla schiena, sono caduto sugli attrezzi, devo essermi rotto qualche costola. – E l’altro giù a ridere.
– Si segga in quella poltrona, le porto un cognac!
Alla parola “cognac” il poliziotto rabbrividì e si incamminò verso l’uscita.
– Grazie, torno su da me… ho bisogno di stare sdraiato!
– Vuole che l’accompagni al pronto soccorso? – chiese il signor Cossa ridendo col naso.
– No, grazie… casomai, se non mi passa, ci vado domani mattina. Buona notte… e mi scusi tanto!
– Ci mancherebbe altro -, e vide il poliziotto salire piano piano le scale. – Prenda l’ascensore!
– No, no, vado a piedi!

L’agente di pubblica sicurezza si chiamava Leo Pazzani, abitava da solo in un appartamento di sessanta metri quadri al settimo piano di quel palazzone fatiscente e senza balconi. Era veramente un poliziotto sui generis, sfigato e forse per questo anche fortunato. Invece di amare i manganelli e le volanti, aveva la passione del teatro. I suoi superiori, dopo averle tentate tutte per farlo diventare un vero uomo, abbandonarono ogni speranza e le assegnarono a una foresteria di poco conto. Leo ne fu contento, perché così poteva trovare il tempo per organizzare una sorta di compagnia teatrale, con tanto di attori e attrici raccattati dai poliziotti con la testa per aria come lui. Il teatrino aziendale era un semplice stanzone col sipario rosso nei locali di un vecchio dopolavoro.
Al contrario dei suoi colleghi, aveva la casa piena di libri, di manifesti, di marionette e fotografie di grandi drammaturghi. Leo si occupava di tutto, dalla stampa dei programmi agli inviti, dalla regia alla direzione delle luci. Sceglieva i testi, li tagliava, li ambientava con quattro carabattole simboliche. E quando lo spettacolo andava in scena, la platea si riempiva di sottufficiali in pensione, con le moglie e rumorosi nipotini. L’applauso finale non glielo aveva mai negato nessuno.
La notte dell’incidente Leo Pazzani l’aveva passata a bere brandy seduto sul letto, solo come un cane, gli occhi pieni di lacrime. Eppure quella sera lo spettacolo era andato bene. Aveva già scelto il testo della commedia successiva, una libera riduzione del bel racconto di Cechov intitolato Il duello da lui stesso riadattato. Era triste e disperato perché le due persone che più amava al mondo lo avevano tradito: Katia, la sua ragazza, e Camillo, l’amico del cuore. Il brandy stava nella credenza della cucina, dietro al pacchetto del sale grosso: la bottiglie gliel’aveva regalata a Pasqua un nipote tornato dal militare.
Katia era una ragazza minuta, il taglio degli occhi un po’ cattivo, ma quando sorrideva sul suo volto s’accendeva un giardino di profumi. Leo l’aveva conosciuta quasi tre anni prima, un giorno di pioggia, dentro un bar sotto i portici. S’incontrarono davanti a un prosecco. – Un prosecco! -, pronunciarono insieme al cameriere immobile dietro al bancone, e si piegarono dal ridere. Cominciò così. Katia amava tanto ridere, almeno quanto il prosecco. In quel periodo era fidanzata con un noto raccontatore di barzellette politiche, un donnaiolo piuttosto brutto ma infuocato, che non le aveva mai detto t’amo e che otteneva da lei tutto ciò che voleva, compreso farle spupazzare un cane di nome Marx.
Questo suo fidanzato col suo carisma di uomo tutto d’un pezzo era riuscito a portarla via a un altro specialista di barzellette, con meno talento ma che sapeva fare soldi con le sue amenità. Anche costui era famoso, ma non aveva prestigio: le sue barzellette erano volgari, senza nemmeno un pizzico d’impegno civile. Quando Leo seppe queste cose si preoccupò molto, perché lui le barzellette faceva sempre fatica persino a ricordarle.
Malgrado tutto ciò Leo riuscì a conquistarla facendole scoprire le meraviglie di Ibsen. Le mise sotto il naso quanta comicità c’era perfino in Beckett e in Pirandello. Dopo gran fatica la vestì da donna Clorinda Frinelli e la spinse in palcoscenico per farle recitare la protagonista del noto radiodramma di Gadda adattato da lui per la scena. Che godimento nel sentirle dire con voce intonata a gentilezza: – La professoressa Gambini mi dice che l’ode per la caduta della nobildonna Luisa De Ferrari è una delle più splendide… che siano state mai scritte!
Insomma nacque un amore dar far venir giù tutto il teatro. Anche la più lontana ombra di sfigatezza scomparve dall’animo di Leo, che era felice di vivere e sognare. Si sentiva un poliziotto, finalmente, di quelli però che non si occupano dell’ordine pubblico ma dell’armonia di tutto il creato. Stava lì, in prima linea, con l’amore di Katia infilato nella fondina, a far la guardia al mondo, perché non degenerasse trascinando negli abissi anche la loro storia carica di emozioni intense e ricordi custoditi nel cuore come in uno scrigno d’oro.
Quasi tre anni, poi un bel giorno, nella testa di Katia s’infilò un germe distruttivo, che nel giro di poco tempo devastò ogni cosa e mandò in mille frantumi quella felicità che aveva il dono di essere vera, mille volte toccata con mano, e mille volte bevuta. Il germe distruttore aveva forma di dubbio: perché non cercare una felicità più grande di questa? E Leo, con ostinazione, disperatamente, le diceva che non esiste. – Perché adesso vuoi cercare ciò che hai già? – Ma lei niente, era distratta. Lui capì che Katia voleva di meglio, e questo lo gettò nel più nero sconforto, anche perché aveva il sospetto che migliori di lui in giro ce ne fossero tanti. Poi però sbatteva la testa contro i muri pensando che anche il migliore fra tutti non avrebbe potuto offrire a Katia più di quanto lui le aveva consacrato. Provava un dolore insopportabile per sé e anche per lei: la vedeva già perdersi nel niente, a caccia di una felicità a cui aveva già sbattuto la porta in faccia.
La crisi durò molte settimane, tra slanci, passi indietro e ripensamenti. Quanto di cristallino aveva fino allora specchiato la loro meravigliosa unione si fece opaco. Quand’erano insieme, a spasso o a teatro, Katia aveva sempre il cellulare all’orecchio o inviava misteriosi messaggini a qualcuno. Con chi parlava? Sicuramente con qualche persona allegra.
Un brutto giorno successe ciò che Leo sperava non accadesse mai: Katia gli comunicò di non amarlo più. In un attimo tornò a essere il pezzente che era sempre stato, un poliziotto sfigato, un teatrante amatoriale. Voleva morire.
Quella notte, poche ore prima dell’incidente, aveva convocato d’urgenza in teatro il suo più grande amico, Camillo. Stava per scoppiare, doveva parlare con qualcuno per liberarsi un poco dall’angoscia. Camillo arrivò tutto allegro alla fine dello spettacolo. Leo lo prese sotto braccio e le portò in giro tra i palazzi. Gli aprì il cuore senza riuscire a trattenere le lacrime.
Camillo e Leo si conoscevano da ragazzi. Amavano tutti e due il teatro, solo che Camillo aveva avuto un po’ di fortuna e gestiva una sala non male nel centro della città. Leo non era mai riuscito a trovare un’alternativa al lavoro di poliziotto a cui lo aveva indirizzato il padre ai tempi della leva. L’amicizia però era rimasta intatta, almeno così era sembrato a Leo, fino a quella sera. – Dunque tra te e Katia è finita veramente! -, fece Camillo dopo i pianti del poveretto.
– Definitivamente! -, rispose Leo allargando le braccia.
– Mi dispiace, stavate così bene insieme!
– Morirò – disse Leo – senza sapere perché lei non mi ama più!
– Pensi che si sia innamorata di qualcun altro?
– No certamente – replicò Leo – non è tipo da sotterfugi. Lo escludo. E poi siamo sempre stati assieme, il tempo di innamorarsi di un altro dove lo prendeva?
– Allora perché ti ha lasciato?
– Ti ripeto che non lo so. Forse vuole essere ancora più felice… Se ne andrà in giro a cercare un giovane alto, colto, biondo con gli occhi azzurri, ricco e innamorato folle di lei, pronto a sposarla e a darle tanti bei figlioli in buona salute, tutti biondi e con gli occhi azzurri e che possibilmente parlino inglese.
Dopo aver ascoltato le penose e confuse lamentazioni di Leo, Camillo cercò di tirar su l’amico proponendogli la vecchia tattica del chiodo scaccia chiodo. – Trovatene un’altra subito!
– Bella come lei non esiste!
– Intanto prenditi la prima che ti capita, poi ti metti a cercare una bella come Katia, almeno tiri un po’ a campare! Ti vedo male male male… hai due occhi che fanno paura!
– Starà piangendo anche lei, cosa credi. Si sente in colpa. Voglio morire!
– Non dire sciocchezze, piuttosto, vuoi che parli io a Katia? Mi faccio spiegare e poi ti dico?
– Ma se non lo sa neanche lei perché non mi ama più!
– Tu intanto dammi il numero del suo cellulare… cerco di capire, e poi ti racconto tutto!
Leo esitò a lungo. Disse: – Ma a che serve? Non vorrei che pensasse che t’ho mandato io… faccio la figura del questuante!
– Non le dico che il numero del cellulare me l’hai dato tu… fidati! – Leo, a malincuore dettò il numero all’amico, che lo registrò sul suo telefonino. Poi passarono a parlare d’altro.
E qui Leo ricevette un altro colpo micidiale. Camillo, visto che le cose nel suo teatro non andavano a meraviglia, aveva deciso di cambiare completamente repertorio: abbandonare i grandi autori e specializzarsi nel teatro leggero.
– Cosa vuoi dire con teatro leggero?
– Voglio dire sala piena e ottimi incassi!
– Barzellette?
– Anche, perché no? Barzellette d’autore!
– E l’arte?
– E il fatturato?
– Ma che ci fai col fatturato – quasi gridò Leo – non ti basta quello che già guadagni?
– Ho un sacco di spese.
– Spendi di meno e divertiti di più mettendo in scena cose belle, di spessore!
Iniziò una lite furibonda. Leo questa volta piangeva per la cattiva fine che stava facendo il suo amico del cuore, incantato come non mai dall’idea di far soldi.
– Sei cambiato! -, gli sputò in faccia. E l’altro, candido come un fiorellino, gli rispose: – Non sono cambiato per niente, sono sempre stato così, ho sempre avuto la libidine del fatturato! Possibile che te ne accorgi solo adesso? – Leo non voleva crederci. – Non è vero, sei cambiato… per anni abbiamo parlato di teatro con autentica passione. E se ti ricordi bene, nei primi anni hai prodotto spettacoli che sono rimasti memorabili, coraggiosi, vivi, provocatori, di grande impatto. – E Camillo: – E infatti con quegli incassi mi sono comprato casa!
– E ora cosa vuoi, la villa al mare?
– Voglio diventare più grande, tutto qua!
– Con le barzellette?
– Ma perché ce l’hai tanto con le barzellette? Sono un’arte anche quella… e poi arrivano anche i soldi della televisione, eccetera. Non ti riconosco, Leo… sei troppo malato di teatro, che te ne frega?! Questa sera sei sconvolto per Katia, parliamone un’altra volta, con calma!
– Non voglio parlarti mai più! -, concluse Leo con la voce pescata nel fondo dell’amarezza. Girò i tacchi e se ne andò a casa lasciando l’amico come un baccalà, col cellulare in mano.

Nella testa gli giravano troppe cose. E sotto quella ruota impazzita di sconquassi camminava un uomo che stava scoprendo di essere il più solo della terra. Fece due conti e concluse che nella sua vita c’erano solo due persone, Katia e Camillo. Ora la somma non gli tornava più, o meglio dava come risultato zero.
– Ci sarà pure un legame tra questi due fatti così lontani l’uno dall’altro -, si domandava Leo. A poche ore da una terribile, insopportabile delusione se n’era aggiunta un’altra. E non era scandalizzato dal fatto che anche Camillo volesse far soldi con le barzellette come gli ex innamorati di Katia, ma lo massacrava l’idea di aver vissuto per tanto tempo accanto a un amico sconosciuto, a una persona che era sempre stata l’esatto contrario di quello che lui pensava. Un estraneo. Leo, tornando a casa, si tirava pugni sulla fronte per scacciare dalla testa la cruda certezza di essersi dato anima e corpo a due marziani, a due oggetti misteriosi che correvano insensatamente dietro alle loro rispettive felicità. Comune denominatore le barzellette. – Ecco cosa ho tolto a Katia, le barzellette. E ora se le va a cercare.
Rientrato a casa, sicuro di non riuscire a prendere sonno, tirò fuori dalla credenza della cucina la bottiglia del brandy. Voleva stordirsi un po’, placare la tempesta di pensieri che facevano a pugni tra loro. Bicchierino dopo bicchierino ogni cosa sbiadì formando come una nube di angoscia, un fumoso sentimento di totale disfatta. Vuoto e paura. E qualche giramento di testa. Gli comparivano davanti agli occhi inguardabili scene ridanciane in cui Katia rideva. Ascoltava le barzellette che Camillo stava raccogliendo per i suoi spettacoli, e rideva. Li vedeva sguaiatamente baciarsi. E pensare che era stato proprio lui a dare a Camillo, quell’ingrato furbetto, il numero telefonico di Katia. L’ultimo goccio lo succhiò dal becco della bottiglia. E in effetti si sentì soffocare. Andò ad aprire la finestra, barcollando e recitando un brano del Duello. Con gli occhi chiusi, tra sé recitava: – Io non sono venuto qui per scusarmi o dimostrare di non essere colpevole. Ho agito con sincerità e da allora non ho mutato le mie convinzioni. Per la verità, come ora vedo con mia grande gioia, mi sono sbagliato sul vostro conto, ma si inciampa anche su una strada liscia, è il destino degli uomini: se non si sbaglia nelle cose importanti, si sbaglierà nei particolari. Nessuno conosce la verità vera!
Così dicendo, a occhi chiusi, scavalcò il davanzale e si lanciò giù dal settimo piano.

Salite le scale, Leo rientrò in casa tenendosi la schiena trafitta da invisibili coltelli. Per fortuna aveva le chiavi attaccate alla cinta con la catenella. Aprì e sbatté subito col piede contro la bottiglia vuota del brandy, che rotolò fin sotto la finestra spalancata. Si allungò piano piano sul letto a testa in su e trovò una posizione che gli fermò i dolori. Rimase immobile, gli occhi contro il soffitto. Dopo un attimo gli occhi si chiusero da soli. Un po’ di pace. Poca però, perché due ore dopo giunse la prima luce del sole, e qualche ventata d’aria fredda. Stringendo forte i denti per il dolore, Leo si alzò per chiudere le persiane e i vetri. Fece qualche passo verso la finestra strisciando con i piedi e chiedendosi qual era l’ospedale più vicino. Stava per sporgersi verso le persiane quando udì una risata fragorosa provenire dalla finestra del piano di sotto. Era una donna a ridere, la moglie del signor Cossa. – Sull’impalcatura? -, si sbellicava la signora, incredula.
– È cascato proprio qua davanti! – E lei: – Così siamo capaci tutti a buttarci dalla finestra. E giù a ridere.
– Sembra una barzelletta! – fece lui. – Non vedo l’ora di raccontarlo a Matilde!
Leo chiuse la finestra. Ricordò d’improvviso che era un poliziotto. Si trascinò verso l’armadio, ne trasse una scatola di scarpe. L’aprì e tirò fuori, avvolta in una pezza sporca, la rivoltella d’ordinanza. Mise la pallottola in canna. Infilò la canna in bocca e senza esitare si sparò premendo il grilletto con il pollice

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Origine - genesi sociale degli immaginari mediali - Direttore MICHELE INFANTE