Racconti

L’ ARTE DELLA GUERRA – UN FATTO DI CRONACA di Davide L. Malesi

Nelle strade tra via Palazzo di Città e piazza del Mercato, stagliate nella decadenza delle botteghe morenti, è qui che Michele è cresciuto: il giorno dei suoi 15 anni gli uomini del clan vennero ad annunciare la sua affiliazione offrendo un patto di sangue e soldi facili. Fuori dal suo giro nessuno se ne accorse. Le teste degli educatori continuarono a dondolare su e giù nella penombra delle aule scolastiche senza intuire il cambiamento. Sua madre, nel letto in cui fu prodotto, cercava consolazione nell’oblio del Roipnol mischiato al Primitivo. Il primo che Michele ammazzò rovinò di colpo sotto la scarica del fucile a pallettoni liberando un’inconfondibile tanfo di escrementi mentre la pozza di sangue sotto di lui s’allargava in una macchia di Mirò. Nessuno nel quartiere biasimò Michele per essersi affiliato al clan, semmai il suo prestigio crebbe. Un ragazzo svelto che si faceva strada nel mondo oltre l’endemica povertà di quelle vie calcinate. Suo fratello Raffaele seguì il suo esempio al compimento dei 14 anni.

Michele e Raffaele si muovono nelle ombre rapide alla sera, quelle che scivolano lungo i muri come ragni isterici. Curano amorevolmente gl’interessi del clan Sartuglio vincendo ogni reticenza dei commercianti a pagare il pizzo. La madre prega perché nulla gli succeda immersa nel mondo edulcorato del Roipnol. Sognano di fare qualcosa di davvero grosso i 2 fratelli, qualcosa che dia un senso al rito di esistere – perdere la verginità, uccidere un bambino. Realizzano il primo sogno in un bordello di via Gioacchino Murat dove una donna più anziana che li istruisce sulle loro future inclinazioni sessuali. Quanto alle uccisioni c’è pace in strada e tra i clan e la sete del grilletto deve attendere. Questa sublimazione snervante si protrae per tutta l’età febbrile in cui la festa ormonale fa la ribollita cogli intestini. Michele se la tira da grand’uomo al bar sparando che il primo morto lui l’ha steso a 16 anni. Ma adesso che ne ha 23 è storia vecchia e non fa più reputazione. Il fratello, che in 21 anni di vita al massimo ha spaccato col martello le ginocchia di un negoziante di via Giovanni Modugno, invidia le sparate del fratello e scioglie il senso d’inutilità nel libanese rosso. Finché grazie a Dio ricomincia la guerra. Con l’omicidio di Francesco Sartuglio, 33 anni, ucciso il 13 agosto a colpi di mitra il clan Di Fazio mette in chiaro che dopo la recente carcerazione del boss dei Sartuglio la questione del controllo del territorio a Bari è tutta da ridiscutere. I fratelli non vedevano l’ora. Li mandano in missione a stendere Pippo Di Fazio in un bar del porto e quelli tornano vittoriosi. L’incursione è rapida, si muovono in 2 su una Kawasaki coi caschi integrali in testa. Freddano la vittima mentre sta aprendo la portiera dell’Opel Agila.

Gaetano ha 15 anni e lavora in pizzeria. Un giovedì sera, dopo l’ultima consegna di pizza a domicilio, torna al locale per la chiusura. Un commando si avvicina in auto. Spara in mezzo a un gruppo di ragazzi in mezzo ai quali c’è Gaetano. Il bersaglio non è lui bensì i 2 fratelli che in quel momento stanno anche loro davanti alla pizzeria. Michele è illeso e Raffaele ne esce con una ferita da niente, curabile in 3 giorni. Gaetano muore. I killer del clan Di Fazio hanno sparato decine di colpi a ripetizione con una pistola calibro 9 e un fucile a pallettoni. Secondo la ricostruzione degli investigatori alcuni dei presenti, quando si sono resi conto dell’agguato ormai imminente, si sono fatti scudo con Gaetano. Siamo alla fine di settembre.

La ragazza pallida aveva un braccialetto d’argento e qualche volta un orecchino, d’argento anche quello. A 17 anni girava tutto il tempo vestita di un nero che accentuava la curva dei seni appuntiti lungo le strade bianche accecanti. Aveva scarpe da minatore inglesi con la punta metallica e la bocca triste – spesso ficcava un dito sontuoso tra le labbra. Gli occhi bistrati. Era diversa. Cominciò a ronzare attorno a Michele in ottobre. Il fratello minore se ne ingelosì. Intanto la guerra infuriava e non c’erano abituati. Non puoi distrarti da nulla, e appartenere a un clan impegnato in un conflitto all’ultimo sangue è una posa sfibrante. Dopo l’attentato in pizzeria i fratelli hanno voglia di rappresaglie ma i capi gli dicono di starsene buoni, che a restituire il colpo ci penserà qualcun altro. Michele vorrebbe sfogare i nervi sbiellati con la ragazza pallida ma quella concede un bacio e nega le carezze oppure lo chiama 3 volte al giorno e poi per una settimana non vuole vederlo, e Michele schiuma. Una sera rimane un’ora intera a fissare la pistola, come sia finita su quel tavolo non lo sa, ma eccola lì con la testa voltata da una parte, la muta bocca nera minacciosa, ma inerte, come un invito. Supera a fatica la sensazione di sentirsi risucchiare in quella voragine da 9 millimetri. Sua madre è di là che dorme un sonno anestetizzato, a volte per 20 ore di fila.

Al bar di via Matteotti uno che non sa farsi i fatti suoi racconta a Raffaele una spiacevole verità. E Raffaele dovrebbe avvertire il fratello ma non lo fa, inforca la Kawasaki e macina la strada finché non ritrova la ragazza pallida in piazza, con la schiena appoggiata alla Sedia dei Nobili e gli occhi fissi nel vuoto – il suo spettacolo prediletto. La carica in moto e la porta al pratone dei Rottami dopo averle offerto un gelato alla Casa della Panna. Tu eri la fidanzatina di Gaetano, la accusa, con quell’assurda parola messa lì – fidanzatina – e adesso stai cercando di far impazzire mio fratello, quello ha perso la testa per te, neanche parla più a nostra madre. Che gli vuoi fare, vuoi farlo morire?, chiede Raffaele alla ragazza pallida. Ti devo uccidere, forse?, la minaccia agitando la pistola nell’aria che già puzza di morte – sarà per via delle mosche che ronzano ovunque. Lei non smentisce, dice che non sa cosa vuole, perché lo fa, e in questo è sincera, sta in un’età in cui le azioni sono vie da esplorare e non posizioni da scegliere. Le piace leggere nei romanzi le scene in cui i personaggi dicono: mi sentivo a posto, ero tranquillo, le piacciono quei luoghi anodini sulla carta, ma non riesce mai a infilarseli addosso. Sembra che invece con Raffaele funzioni perché il giovane assassino adesso è quieto come un bimbo, non la minaccia più. Cosa devo fare con mio fratello, chiede. Lei risponde di non dirgli nulla.

Se vuoi faccio l’amore con te, ma non dirgli niente, sussurra la ragazza pallida con l’orecchino d’argento. Perché io, chiede Raffaele, e lei risponde che la verità è crudele, sarebbe meglio tenerla via. Sono frasi automatiche per una che vive coi Dead Can Dance sparati in cuffia, fesserie neoromantiche che però agli occhi di uno come Raffaele trasformano la ragazza pallida in una creatura da sogno, diafana e inquieta, bellissima. Fa niente, dice lui, voglio sapere la verità. Anche se è crudele?, chiede la ragazza pallida – ancora, le piace quella parola, crudele. Mi ricordi il mio amore morto, dice lei. Adesso lo vuoi fare lo stesso l’amore con me?, gli domanda. Metà volto nell’ombra, così pallida, così innocua che – Raffaele ne è sicuro – non potrà mai farle del male. Vorrebbe semplicemente vederla nuda in uno spiraglio di luce avorio.

2 giorni dopo, la ragazza pallida dice a Raffaele di portarla al cimitero – lei ama passeggiare dove si edificano monumenti alla morte. Il sole macula l’asfalto attraverso l’ombra delle file ordinate di cipressi. Li vedono camminare a lungo tenendosi per mano, poi salire sulla Kawasaki. Sbucano sul Lungomare Tenente Noviello. Scendono dalla moto. Si appoggiano al muretto. Sono lì che parlano e ridono – Raffaele è appoggiato alla Kawasaki e ride, ride, ride facendo ondeggiare i riccioli scuri. Michele scende da un’auto rubata e li fa secchi entrambi con la calibro 9. Gli scarica addosso un caricatore intero. La belva divina che abita gli uomini si manifesta specialmente in questi casi. I testimoni dicono che Michele non ha nemmeno detto niente, ha sparato e basta. Poi si mette a piangere a dirotto. Neanche scappa, resta lì finché non vengono a prenderlo i carabinieri. Quando lo circondano e gli dicono di gettare l’arma fa per alzarla e gli sparano. Muore così.
Il vento spezza il fiato al mare a forza di colpi secchi.

Passano un po’ di giorni e a qualcuno scappa di mettere dei fiori addosso al muretto del Lungomare Tenento Noviello con un sacco di biglietti e scritte che dicono che la ragazza pallida è una specie di santa. I fiori appassiscono ma c’è chi pensa a metterne sempre di freschi. Altri biglietti, altre scritte attaccate al muretto col nastro adesivo. Arrivano a tirar su pure una specie di altarino di mattoni con la foto della ragazza. Qualcuno del clan Sartuglio s’indigna e scrive a un giornale locale. E dice: io chiedo che quell’altarino sia tolto di mezzo, perché è un’offesa alla famiglia dei ragazzi defunti, quella ragazza era una seduttrice, una svergognata che ha messo l’uno contro l’altro 2 fratelli e li ha spinti all’odio. Dalle colonne del giornale un assessore risponde che Bari è piena di altarini per le strade. Vogliamo toglierli? Ci vuole un’ordinanza apposta. Può fare il Comune tale ordinanza? Difficile dirlo, c’è il rischio di una sommossa popolare. Intanto si moltiplicano le scritte attaccate all’altarino e al muretto. Non solo i parenti della ragazza pallida, ma anche quelli delle vittime dei fratelli – gli inquirenti attribuiscono ai 2 ragazzi morti qualcosa come 13 omicidi – continuano a rinnovare l’offerta di fiori presso l’altarino. Quando alla fine i vigili vengono a toglierlo, la gente li bersaglia di contumelie e ci scappa anche qualche sassata. Quella notte stessa ignoti vandali imbrattano l’edificio comunale di scritte oscene fatte con lo spray. Il clan Di Fazio raccoglie i soldi per tirar su una cappella per la ragazza pallida al cimitero monumentale. Passa il tempo e questa diventa una delle tante storie di una città in guerra. La morte è un fazzoletto bianco caduto in terra a cui non bada nessuno.

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