Critica letteraria

PAESAGGI ITALIANI DELL’ EROTISMO AL FEMMINILE di Vincenzo Salieri

Letteratura erotica è un termine del quale ci si serve con gran disinvoltura, per indicare qualcosa che – sotto sotto – non si è neanche ben capito cosa sia: se una letteratura a base di sesso, o in cui sia presente (o, addirittura, prevalente) il sesso, o incentrata sull’attrazione e le pulsioni sessuali (e allora, teoricamente, il sesso “consumato” potrebbe anche non esserci). Per complicare le cose, si aggiunga che ad alcuni (soprattutto agli autori, e alle autrici, di letteratura erotica) sta molto a cuore la distinzione tra erotismo e pornografia (“non ho scritto un libro pornografico, ho scritto un libro erotico”, dicono): ma di fatto, se tra pornografia ed erotismo la linea di confine esiste, è chiaro che si tratta di una linea molto sottile.
Ciò detto, è interessante osservare alcuni fenomeni per disegnare le traiettorie della letteratura erotica italiana d’oggidì, specie di quella scritta da donne (che è quantitativamente dominante); e, non volendo perderci in sottigliezze per definire ciò ch’è letteratura erotica o non lo è, definiremo come “erotiche” quelle narrazioni che affrontano, più o meno scopertamente, temi a carattere sessuale: ma che non abbiano sfondi di tipo “sociale”, o di denuncia (difficile far rientrare nel genere testi che narrano di violenze sessuali subite, o della degradazione delle prostitute di strada). Chiaro che, con una definizione così vaga, nel calderone può entrarci un po’ di tutto: dalle opere più prettamente commerciali a quelle con ambizioni letterarie di diverso livello: ma, se si vuole affrontare il tema, occorre stare al gioco.

Melissa, e non solo Melissa

Detto questo, proviamo a capire quel che sta succedendo nella letteratura erotica italiana: partendo proprio dal successo di Cento colpi di spazzola (che, d’altronde, è il caso più eclatante). Il libro, piuttosto breve (un centinaio di pagine) si presenta come il diario di un’adolescente coinvolta in una serie di avventure sessuali, che vanno dal sesso con uomini decisamente più grandi della protagonista, ai rapporti di gruppo (quelli che i francesi, con la loro tipica discrezione, chiamano partouzes). Una sorta di “romanzo erotico” di formazione, scritto in prima persona: al che il lettore, anche per via della forma diaristica del testo, associa immediatamente l’io narrante alla persona dell’autrice, e si forma la convinzione di leggere cose realmente accadute. Attenzione, qui non intendiamo asserire ch’esse non lo siano: ma semplicemente sottolineare il banale meccanismo voyeuristico che scatta, o può scattare, nelle menti dei lettori poco smaliziati: e che, ne sia consapevole l’autrice oppure no, è alla base del successo del libro. Voyeurismo che non coinvolge solo i lettori di sesso maschile (che in Italia, come ovunque, sono minoranza): ma anche quelle lettrici che, attratte o affascinate (o magari, semplicemente incuriosite) dalla spregiudicatezza con cui l’autrice narra delle sue autentiche esperienze, apprezzano il libro per il suo misto di coraggio e ingenuità; ragioni, dunque, tutt’altro che letterarie.
Delle qualità letterarie del testo di Melissa P., non è questa la sede opportuna per discutere: ci limitiamo tuttavia a bacchettare sonoramente sulle dita quei critici, o recensori, che dinanzi a Cento colpi di spazzola hanno parlato di “novità letteraria”: la storia della scrittura femminile, in Italia e non solo, è piena di casi di scrittrici più o meno adolescenti che pubblicano un diario di esperienze scabrose, ottenendo a volte un grande successo: valga, uno su tutti, il caso della cino-canadese Evelyn Lau, autrice di Runaway (del 1995, pubblicato in Italia da “Marco Tropea” col titolo Ho vissuto in un mondo di plastica con fiocchi color cocco, nel ’96); e, per restare nei confini nazionali, emme erre esse zeta, pubblicato anonimo quasi trent’anni fa (nel ’76) da “Vallecchi”: e presentato, in quarta di copertina, come “il diario di una ragazza di quattordici anni” che “racconta il suo precoce apprendistato sessuale”. Ma, per tornare a casi più recenti, lo stesso clamoroso successo di Volevo i pantaloni di Lara Cardella (risalente agli anni Novanta) è dovuto, almeno in parte, alla narrazione delle esperienze autobiografiche, a sfondo sessuale, contenute nel libro.

Donne che vengono allo scoperto

Piace, in un certo senso, al lettore l’idea della scrittrice (meglio se del tutto esordiente) che viene allo scoperto, e racconta ciò che sempre, nella cultura occidentale, le donne hanno preservato con maggiore riservatezza: le proprie esperienze sessuali, e ancor più i propri desideri, le proprie passioni. In fondo, in letteratura, del desiderio e della passione al maschile si è sempre scritto, e ne sappiamo abbastanza: gli scrittori uomini (da Apollinaire a De Sade, da De Laclos a Marinetti) hanno affrontato il tema del sesso, nella loro prospettiva, in lungo e in largo. Della prospettiva femminile, sappiamo molto meno: per secoli, le donne sono state costrette a evitare la trattazione esplicita dei temi sessuali, in letteratura come in ogni altro ambito: pena la censura, e in certi casi addirittura il tribunale (che, intendiamoci, dispensava condanne neanche tanto leggere anche agli uomini che osavano scrivere di sesso). Un clamoroso caso italiano è quello di Nada Peretti, che nel 1908 pubblicò L’eredità di Saffo, romanzo di passioni al femminile che le costò un lungo processo per oscenità: ma che, grazie al baccano fatto da censori e giornali attorno al libro, fu pure un grande successo commerciale.
E tutto il Novecento è pieno di donne che, favorite dalla curiosità del pubblico, scrivono romanzi o pubblicano diari in cui svelano il lato femminile del desiderio, e della perversione (posto che questa parola abbia, ormai, ancora un senso). Alcuni di questi libri, come i celeberrimi diari di Anais Nin, hanno effettivamente un valore letterario; altri restano come documento, come quelli di Kiki di Montparnasse (meno noti di quelli della Nin: originariamente pubblicati col titolo Memoirs of Kiki, e tradotti in italiano da Lucia Usellini per “Longanesi” nel 1975 con il titolo Memorie di una modella e la prefazione di Ernest Hemingway). Di altri ancora, privi di ogni valore letterario e documentale, s’è giustamente persa ogni traccia.
E, da questa idea delle donne che raccontano il sesso, prende il via la collana “Pizzo Nero” fondata da Sergio Borelli: serie di romanzi erotici “scritti dalle donne per le donne”, in genere incentrati su una qualche perversione tipica della fantasia femminile (sottomissione, segregazione, promiscuità cercata o obbligata, etc.): ci sono poi i casi particolari, come il “thriller erotico” scritto dalla top model Silvia Rocca. Si tratta generalmente di romanzi piuttosto brevi, decorosamente scritti, con un intreccio abbastanza semplice, sempre incentrato su un’unica protagonista femminile: la quale si trova coinvolta in una serie di eventi che non può controllare (o sui quali può esercitare un controllo alquanto relativo) e, alla fine, ne è anche psicologicamente irretita: un meccanismo basilare del pensiero erotico al femminile, che fa da sfondo anche al classico Histoire d’O, scritto sotto pseudonimo (Pauline Rèage) da Dominique Aury, e uscito in Francia nel 1954 e poi in tutta Europa: lì la protagonista era presa in un intrigo sadomasochista, con tanto di valletti armati di scudiscio, cinghie e catene, marchiature a fuoco sulle pelle nuda, sodomie e quant’altro. Non a caso anche il testo d’esordio della collana “Pizzo Nero”, La sottomissione di Ludovica di Francesca Mazzucato, è incentrato su un’avventura di stampo masochistico (o, più esattamente, di sottomissione psicologica): sebbene le esperienze di Ludovica siano molto più all’acqua di rose paragonate a quelle dell’eroina di Pauline Rèage.
Eppure, malgrado gli intrecci dei romanzi targati “Pizzo Nero” rientrino nell’ordinarietà, e nulla aggiungano a quanto già detto e scritto nel panorama dell’erotismo in letteratura, la lettrice aficionada della collana sembra essere una donna emancipata, con un certo grado di sofisticazione intellettuale: almeno, così risulta in base ai dati raccolti negli ultimi cinque anni attraverso un sondaggio distribuito con le copie dei libri venduti. Il reddito delle lettrici della “Pizzo Nero” è al di sopra della media nazionale (il 55% si colloca oltre 35 milioni annui di vecchie lire) e il loro livello culturale medio-alto: si tratta di impiegate, insegnanti, dirigenti, libere professioniste.

E se Melissa fosse stata una 35 single, divorziata, che vive da sola in una grande città?

Scrivendo racconti erotici, o presunti tali, una donna può avere la sensazione di spiegare a se stessa le sue pulsioni, le sue sensazioni, il suo vissuto in campo sessuale; e non può fare a meno di provare una vivace sensazione d’appagamento quando queste scritture, così private, riscuotono l’apprezzamento di altre persone. Per questo, forse, su numerosi siti web di scrittura creativa ci s’imbatte in nicknames femminili che, con minore o maggiore efficacia, producono narrazioni erotiche (di solito, racconti brevi) riscuotendo, da parte degli utenti, consensi pressoché unanimi. Ed anche il successo di Cento colpi di spazzola è forse spiegabile con questa tendenza, da parte di folte schiere di lettori, ad apprezzare una scrittura che tanto più è non-letteraria, anzi anti-letteraria (e, ca va sans dire, priva della retorica e dei processi di trattazione stilistica che sono patrimonio della buona letteratura), tanto più è percepita come autentica e vissuta: al che, di fronte a siffatte narrazioni al femminile, il lettore ha la sensazione di relazionarsi a donne capaci di raccontare il proprio desiderio, e anzi desiderose di farlo; e al lettore, piace questa sensazione di essere il confidente segreto di queste donne. La letteratura erotica è, indubbiamente, soggetta a questo rischio: quello di sfiorare, per la volontà che esiste di stabilire un “ponte” comunicativo tra chi scrive e chi legge, i confini della non-letteratura; e, facilmente, di valicarli.
Questo è un rischio al quale poi le donne, grandi comunicatrici istintive, si sottopongono più degli altri: vuoi perché, con una narrazione dall’apparenza ingenua (e quindi, abbiamo detto, non-letterata o anti-letteraria) riscuotono un consenso d’immagine che facilmente le pone al centro dei riflettori; vuoi, infine, perché le ragioni che spingono una donna a raccontare vicende erotiche sono talora connesse con un bisogno di sfogo, di liberazione dalla prigione di un’esistenza sessualmente frustrante, o comunque ben lontana – nei fatti – dall’appagare i bisogni dell’autrice in campo erotico.
La stessa Anais Nin affermò, nella versione unexpurgated del suo diario, di scrivere di amplessi e avventure erotiche inventate per contemplare nell’immaginazione le cose che non sempre aveva l’opportunità, o il coraggio, di vivere. Certo, c’è una gran differenza poi, sulla pagina, tra Anais Nin e una qualsiasi scrittrice della domenica che compone storielle esili, prive di reale mordente, farcite più che strutturate su elementi erotici. La lingua, la resa delle parole, oltre alla banalità e prevedibilità della trama, rigida nei suoi schemi, è forse il vero elemento che distingue un romanzo erotico scritto da una donna, e non tanto l’apparente ingenuità dell’autrice (quell’ingenuità che, si è detto, ritiene foriera d’autenticità) e che fa sì che sovente raggiungano il successo di pubblico testi che di letterario hanno ben poco.

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