Dossier Zavattini (a cura di Michele Infante)
Perché l’idea per un film-capolavoro nasce dalla vita reale e dalla quotidianità dell’uomo-autore?
Narratore, scrittore, direttore editoriale, sceneggiatore, autore radiofonico e televisivo, documentarista, curatore di cinegiornali, ed infine anche regista Casare Zavattini non necessita di presentazioni, anzi si può definire come uno dei primi autori multimediali della nostra tradizione, operando sempre in un ottica di comunicazione con il pubblico, ma sempre attento alla qualità dei contenuti. Un esempio per una società dove sembra essersi aperta una frattura tra cultura bassa e dozzinale e cultura alta ed intellettualistica, dove l’unico modo per raggiungere il pubblico sembra essere il ricorso a forme estranei alla soggettività dello spettatore, a format preconfezionati di evasione in scatola. Un momento di riflessioni su come ripensare la polemica con il tempo del flusso evasivo e diseducativo dei media moderni, come facciamo in questo numero. Il lettore potrà vedere la differenza che vi è alla base del lavoro di un grande sceneggiatore, non vi sono solo sterile tecniche imparate da manuali hollywoodiani o fascinazioni per creare suspance, stupire, sconvolgere, effetti speciali, storie fantastiche ed incredibili, ma un costante arricchirsi e attingere alla propria semplice esperienza personale di uomo. E proprio per ricondurre l’elemento fiction, l’elemento filmico all’esperienze dell’individuo, alla sua quotidianità, perché il grande cinema, la vera letteratura non sono altro che un sentimento più profondo della coscienza e dell’essere quotidiano, pubblichiamo un documento inedito ritrovato tra le carte dell’Archivio Zavattini dove lo stesso autore parla del finale di Ladri di Bicicletta, il film che diretto da Vittorio De Sica nel 1949 vincerà l’Oscar come miglior film straniero e consacrerà il neorealismo italiano nel mondo.
Nella lettera (inedita e qui riproposta per la prima volta) al suo traduttore in russo, Lev Verscinin, Zavattini parla del nucleo originario del finale drammatico e toccante a cui aveva pensato molti anni prima di realizzare il film, come ne prova il breve testo qui riproposto, e scritto negli anni 30’. m.i.
Roma 8.3.1982
Caro Verscinin,
ho appena ricevuto la tua lettera e fortunatamente dopo domani viene il nostro Corghi a Mosca!
Più fortunato di così non potrei essere. Ne potrei avere un tramite più intelligente e più informato [..]
Io ti accludo anche un libro uscito da Einaudi che forse ti hanno mandato AL MACERO, dove ci sono tre o quattro cose che potrebbe interessarvi. Non so.
Per esempio a pag.54/55 ci sono le diciotto righe che ricordano Ladri di Biciclette e che io ho scritto assai prima di aver avuto l’idea del Film. Ma sareste voi a decidere se c’è qualche pagina che meriti di essere introdotta nel libro.
[…]
Che debbo dirti di più? Caro Vercsinin.
Ti abbraccio con Boghensky ma dammi anche qualche notizia relativa al tuo personale lavoro
[…]
L’esperienza mi insegna che più le idee sono buone più è difficile metterle operativamente in moto. A me questa pare una necessità seria, concreta, che non riguarda solamente il mio paese.
Cesare Zavattini
La “voce” strade
Ho diviso il mondo in tante voci, ho scritto le voci ciascuna su di un pezzo di un foglietto di carta, piegato in quattro, le ho messe tutte in una vecchia borsetta. Ogni giovedì mi chiudo in camera ed estraggo un foglietto. Oggi dice strade.
[…]
Dovrò osservare le strade dunque. Ne ho viste tante, ma ne ricordo solo una. Un uomo mi fermò guardandomi negli occhi: “Lei è il signor A***?”, “No, io non sono il signor A***?”.
L’uomo insisté. “Lei è il signor A***”. E avrei replicato, forse vibratamente, se l’uomo non mi avesse dato un forte schiaffo. Poi si allontanò quasi di corsa. Io ero lì fermo, intontito; il cappello mi era ruzzolato per terra. Ecco se il cappello non mi fosse ruzzolato per terra, se non avessi dovuto raccoglierlo, pulirlo con le mani tremanti, confuse, davanti ad un bambino che mi guardava, ed era il mio bambino, avrei dimenticato ogni cosa, perché seppi, qualche minuto dopo, che quell’uomo era un povero pazzo. Ma il mio cappello era ruzzolato per terra, le mie mani erano tremanti, parevano le mani scarne degli ammalati, mani senili… Io e mio figlio non dimenticheremo mai quella lingua strada e i grigi sassi del selciato connessi come le scaglie di un armadillo.
(Casare Zavattini, dal Al Macero, Einaudi)
BELLISSIMA*
Soggetto di Cesare Zavattini
Maddalena ha una figlia di sei anni, Maria. Maria non è molto bella, ma per sua madre è bellissima, lo dice sempre. Maria ha anche un leggero difetto di pronuncia e Maddalena non lo trova un difetto ma una qualità. Maddalena ha trent’anni, un carattere vivace e deciso. Lavora come guardarobiera alla Rupe Tarpea e guadagna abbastanza, specie quest’anno che ci sono tanti forestieri, poi se ne va a casa tutta sola ogni notte verso l’alba. A casa c’è il marito, un ottimo uomo che proprio all’alba si alza perché fa il ferroviere e Maria che dorme [sic]. Nel casamento dove abita, piazzale Annibaliano, le donne non hanno molta simpatia per Maddalena che è un po’ superba e mette dei nastri sulla testa della figlia che sembrano bandiere.
Un giorno si annuncia un concorso cinematografico: cercano una bambina di sei anni, per un film molto importante. Maddalena pensa che cercano proprio sua figlia e salta le ore del sonno per portarla allo stabilimento dove il regista deve fare la sua scelta.
Sono molte le mamme che si mettono in movimento per la stessa ragione e Maddalena si trova davanti un numero infinito di concorrenti tra le quali alcune del suo quartiere. Questo accende ancora di più l’ambizione di Maddalena che si propone di vincere la battaglia a ogni costo.
E infatti riesce con la sua intraprendenza a far entrare la figlia tra le venti alle quali verrà fatto il provino entro una settimana.
Questa vigilia del provino è una vera settimana di passione per Maddalena. Le hanno detto che il difetto di pronuncia della figlia è un difetto che potrebbe compromettere la sua scelta. Allora la porta all’Istituto di Rieducazione della voce a Monte Sacro e si dichiara disposta a pagare qualsiasi cifra purché compiano il miracolo di togliere il difetto di pronuncia alla bambina in pochi giorni. Ma non basta: va alla scuola di danza della Ruskaia e vorrebbe che dessero alla figlia alcune lezioni accelerate. Ma qui non ci riesce. Allora prende in casa un’attrice che dia rapidi ammaestramenti a Maria. E tutto questo Maddalena deve farlo di nascosto al marito il quale ha la testa sulle spalle, adora la bambina, e se sapesse che Maddalena sottopone Maria a questi ossessionanti strapazzi reagirebbe certo con energia e severità.
Infatti la povera Maria è davvero stanca, ha subito la mania materna perché lei è timida, ma non ha proprio nessuna particolare qualità. Si è messa a piangere un paio di volte e la madre ha fatto quello che non ha mai fatto, le ha dato perfino uno schiaffo perché la bambina non riusciva a ripetere correttamente una battuta.
Arriva il giorno dei provini. Maddalena vorrebbe entrare nel teatro dove si fanno i provini ma è vietato l’ingresso ai familiari dei piccoli candidati. Allora la sua pena è grandissima. Neanche le sue arti riescono a rompere la consegna. Ma intanto non perde il tempo e si informa di tutta la organizzazione del film. Conosce il nome del produttore e degli altri elementi importanti e accetta la corte di un tale che assicura di avere influenza sul regista, un ispettore di produzione millantatore e un poco losco.
Una sera alla Rupe Tarpea vengono a ballare il produttore e il regista del film. Durante tutta la serata Maddalena in ansia studia il modo di avvicinare i due uomini e di ingraziarseli. E fa una cosa molto grossa: manda a casa a prendere la figlia tutta vestita a festa perché i due la vedano, l’ammirino. Ma quasi quasi Maddalena quella sera perde il posto per le sue prodezze materne. Quando verso l’alba torna a casa fuori c’è l’ispettore di produzione che l’aspetta e l’accompagna a casa con l’evidente intenzione di ottenere da lei qualcosa di concreto. E lei pur di vincere, per la prima volta nella sua vita, si lascia baciare e promette un appuntamento.
Malgrado gli armeggi di Maddalena, Maria viene scartata. Il suo provino risulta dei peggiori. Maddalena riesce con i suoi soliti sotterfugi a vederlo – a vedere la figlia nel confronto con le altre – la povera piccola impacciata Maria. Lì per lì Maddalena vorrebbe fare fuoco e fiamme e perfino prendersela con la figlia. Ma proprio adesso che si accorge che sua figlia non ha nessuna particolare qualità, che il difetto di pronuncia è un difetto e che ce ne sono centomila belle come lei e addirittura belle più di lei, le si rivelano tante cose, per esempio che ha più ambizione che amore per la figlia. E invece di picchiarla, ha una grande voglia di domandare perdono a sua figlia e a suo marito il quale è completamente ignaro di tutto quello che è successo in questa settimana piena di incidenti per nascondere i quali sua moglie gli ha perfino rubato i soldi dal portafoglio.
E se ne va fuori, perché è domenica, con il marito e con la figlia che non hanno mai visto una Maddalena così buona, così umile, così piena di invenzioni per farli ridere e per farli divertire. “Andiamo al cinematografo?” domanda il marito. Maddalena non ne vuole sapere e sbatte gli occhi come per paura e guarda la figlia.