Conversazioni

CONVERSAZIONE CON IL WU MING di Davide L. Malesi

Conversazione con il Wu Ming
di Davide L. Malesi

Dietro la sigla Wu Ming, in cinese mandarino equivalente a “senza nome” oppure “non famoso”, c’è un “atelier di narrazioni e mitografia” – questa la definizione espressa dai partecipanti al progetto – attualmente composto da cinque autori i cui rispettivi nomi anagrafici, per quanto non segreti, non sono dichiarati esplicitamente: per il Wu Ming, infatti, le storie vengono sempre prima di chi le scrive. Senza mezzi termini, si propongono come narratori che rinunciano all’immagine, al divismo, a qualsiasi forma di sudditanza nei riguardi del circo mediatico.
Il collettivo Wu Ming ha pubblicato il best-seller Q, uno dei romanzi più venduti del 1999 (sotto la sigla “Luther Blissett”, altro multiple name) e, successivamente, Asce di guerra (primo ingresso in scena della forma “Wu Ming”), fino al recente 54. Vi è stata inoltre una uscita “solista” di Riccardo Pedrini, uno dei membri del collettivo, che sotto lo pseudonimo di “Wu Ming 5” ha pubblicato il romanzo Havana Glam.

D: Avete scritto che “le storie sono asce di guerra da disseppellire”. La considerate un’affermazione programmatica, con una valenza anche politica, o semplicemente una verità?
R: Chiaramente solo le storie sepolte possono essere disseppellite, quindi se è una verità è comunque una verità parziale che non va generalizzata indebitamente. Diciamo che è la nostra dichiarazione di poetica, il nostro lavoro consiste nel ripescare storie dai fondali della Storia, allo scopo di ri-raccontarle, ri-caricarle. Per farlo usiamo tutti gli strumenti, gli stilemi, i sotto-generi, dal reportage investigativo alla fantascienza ucronica, dal romanzo sociale al romanzo di spionaggio.

D: Il vostro primo romanzo, Q, è ambientato nell’Europa del Cinquecento. Quanta ricerca è necessaria per scrivere un libro del genere, e renderlo vivo, credibile?
R: Basti dire che per scriverlo ci abbiamo messo tre anni, e il primo anno non abbiamo scritto una riga, abbiamo studiato, preso appunti e ancora studiato e ancora preso appunti. Abbiamo letto decine e decine di libri presi in prestito all’istituto di scienze religiose di Bologna.

D: La scrittura romanzata di avvenimenti storici realmente accaduti presuppone certosine ricerche tra documenti e pubblicazioni. Come si decide dove e quando infiltrare la finzione romanzesca?
R: Immagino che ciascun autore abbia un proprio metodo, una propria visione, e che – se l’autore non esagera con la serialità e non feticizza il metodo trasformandolo in una meccanica dello scrivere – tale metodo e tale visione cambino di libro in libro. Noi in genere lavoriamo sulle coincidenze, sulle cose-che-suonano-strane, sulla creazione di “strane prossimità”, come dice Bachtin parlando di Rabelais: “unire ciò che è diviso, dividere ciò che è unito”. Il rapporto tra realtà storica e finzione speculativa nasce automaticamente da queste collisioni di nomi, date, eventi.

D: Qualcuno ha detto che la definizione di “romanzo storico” non ha molto senso, eppure è un’etichetta che piace molto al pubblico. Sotto questa etichetta, sono usciti e continuano a uscire libri che raccontano un passato che sa un po’ di cartone. Evidentemente c’è gente che, nel bene e nel male, li compra. Pensate che un romanzo come Q possa dare un segnale diverso, incoraggiare il pubblico a migliorare la qualità della proprie letture?
R: A noi non piace molto la definizione di “romanzo storico” perché vuol dire tutto e niente, la si applica un po’ così, alla cazzo… Per la “Tetralogia di Los Angeles” nessuno scomoda quella definizione eppure c’e’ più documentazione e capacità di rievocare che in un qualunque libro di Valerio Manfredi o di altri autori di “romanzi storici”. Quanto alla questione della qualità delle letture, se si intende che il “romanzo storico” dovrebbe essere più… “autoriale” e meno “di genere”, non siamo d’accordo. C’è comunque più qualità e onestà nel succitato Manfredi che in molti “Autori”, di certo ci sentiamo più vicini a Manfredi (sia Valerio sia Gianfranco) che a quel tizio della Scuola Holden…

D: C’è qualcosa che vi piace, dell’attuale panorama letterario italiano?
R: Moltissime cose, crediamo che la letteratura italiana stia vivendo una fase esaltante, in cui finalmente si supera la distinzione ideologica reazionaria tra letteratura “alta” e letteratura “bassa”. Evangelisti scrive cose eccellenti, Carlotto idem, De Cataldo con Romanzo criminale ha piantato nel suolo una pietra miliare, poi Lucarelli, Dazieri, Philopat, Simona Vinci…

D: E qualcosa che proprio non sopportate?
R: L’intimismo, lo psicologismo, la letteratura della “crisi di una generazione”…

D: Riccardo Pedrini, la più recente “recluta” di Wu Ming, ha scritto un romanzo che si potrebbe definire “di fantascienza”, Havana Glam. Un tempo, con scrittori come Ray Bradbury, Kurt Vonnegut, Philip K. Dick, la fantascienza era un genere letterario portatore di messaggi “forti”, un modo di immaginare futuri possibili che facessero riflettere il lettore sul presente. Oggi, non trovate che questa tendenza sia andata un po’ persa?
R: Va innanzitutto sfatato un equivoco: Riccardo non è entrato dopo in noi, è a tutti gli effetti un fondatore di Wu Ming.
Quanto alla fantascienza, dalla New Wave degli anni Sessanta (ma anche da prima) è sempre esistito un filone deviante, non strettamente futurologico, di distopia-del-presente (pensa a Ballard), come è esistito un filone satirico, uno rivolto alla descrizione di “passati possibili” che poi si è evoluto nell’esperimento “steampunk” (il cyberpunk a vapore)… In ogni caso, credo che “progettare futuri che cadono a pezzi” sia tuttora un sano esercizio intellettuale.

D: I vostri romanzi sono il contributo dell’immaginazione, e del lavoro, di un gruppo di cinque persone. Come scegliete un tema, una trama, come create i personaggi e la storia? Il tutto nasce da un dibattito collettivo, o vi dividete i compiti tra di voi?
R: Siamo come un collettivo di free jazz, improvvisiamo collettivamente tutto il tempo, nelle fasi “calde” del lavoro ci vediamo praticamente tutti i giorni e ci raccontiamo a vicenda le varie sottotrame, improvvisandole ma basandoci su una grande mole di appunti presi da ciascuno durante la fase delle ricerche. A furia di sparare cazzate, la trama emerge, poi la sistemiamo in una scaletta, poi in una specie di “trattamento”, infine cominciamo a scrivere dividendoci i capitoli ma continuando a farli ruotare di modo che ciascuno possa emendare i capitoli degli altri.

D: Per qualche motivo va sempre a finire che, per focalizzare su una questione, si divide il mondo in due come una pera. Secondo voi, chi ha diviso in due la pera della letteratura tra scrittori italiani e stranieri ha avuto ragione a non dividerla a metà?
R: Non saprei. Noi, per dire, non facciamo “letteratura italiana”, facciamo letteratura scritta in italiano.

D: Gli scrittori italiani hanno le carte in regola per confrontarsi gli altri?
R: Questo è un dato di fatto. Manfredi spopola in tutto il mondo, Evangelisti lo trovi tradotto in ogni pertugio linguistico, Lucarelli è pubblicato nella Série Noire di Gallimard, idem tutti gli autori citati nelle altre risposte, noi compresi.

D: Il protagonista di Q si unisce ad un certo numero di rivolte, partecipa ad un esperimento di governo demagogico a sfondo religioso-utopistico, organizza una frode internazionale ai danni della banca Fugger, diventa socio nella gestione di un bordello a Venezia. Non credo si possa definire la sua storia in una sola parola, ma di sicuro si può definire il suo opposto: il minimalismo. La lettura di Asce di guerra e 54 conferma questa impressione. Siete d’accordo?
R: Sì, possiamo usare senza timori la parola “massimalismo”. Ci piace spararle grosse.

D: I vostri progetti per il prossimo futuro?
R: Ad aprile Einaudi pubblicherà Giap!, un’antologia di nostri saggi e racconti a cura di Tommaso De Lorenzis.
Stiamo lavorando a due sceneggiature cinematografiche, e altre sono all’orizzonte. Tre di noi stanno scrivendo romanzi solisti, e stiamo cominciando il brainstorm per il prossimo romanzo collettivo.

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