UN ARISTOCRATICO DISDEGNO. Conversazione con Michele Mari
1. La letteratura sembra portare avanti una battaglia di retroguardia e di “conservazione” rispetto a forme del sapere, della conoscenza e dell’intrattenimento (soprattutto massmediali e comunicative) che riescono ancora oggi a creare un pubblico, piuttosto che piccole isole di gusto e di lettori intorno ad un singolo scrittore o scuola. Cosa comporta questa chiusura in microcomunità e parcellizzazioni del pubblico dei lettori?
Intanto dobbiamo intenderci: una certa letteratura è meritoriamente “conservativa” (cioè rivoluzionaria), ma tanta altra letteratura (ma proprio tanta) non fa altro che scimmiottare proprio quei linguaggi “massmediali” dai quali dovrebbe distinguersi. Quanto al sorgere di “microcomunità” mi sembra un fenomeno positivo, come tutti quelli che combattono l’uniformazione del gusto.
2. Come giudica l’attuale processo di “acculturazione” (vendita di romanzi, film, dvd, libri d’arte, fiere del libro, etc.) in atto nell’attuale contesto culturale italiano?
Mi vengono in mente solo risposte destinate ad essere interpretate come segno di un aristocratico disdegno, per cui è meglio che non risponda.
3. Alla luce dei suoi studi in ambito universitario, le trasformazioni e l’accelerazione dei processi di modernizzazione, democratizzazione e di alfabetizzazione e lo sviluppo di protesi tecnologiche sempre più sofisticate negli ultimi decenni del XX secolo, portano ad un ripensamento dell’uomo e della cultura umanistica e della sua tradizione?
Vedi sopra. Mi sembra evidente che la perdita di prestigio della cultura umanistica sia direttamente proporzionale al processo di “democratizzazione” della cultura, generoso eufemismo per dire volgarizzazione-semplificazione.
4. Parlando del tuo lavoro di scrittore (passiamo al “tu” proprio per la vicinanza che ci lega all’autore dei libri che ci appassionano) la tua ammirazione per la letteratura cosiddetta “avventurosa”, marinaresca ma non solo (mi riferisco ad autori come Stevenson, Conrad, Melville, Verne, ecc.) si sente in molti racconti della raccolta “Tu, sanguinosa infanzia” e nel romanzo “La stiva e l’abisso”. Cos’è che ami, nel racconto d’avventura, e che in esso ti coinvolge al punto di farne un elemento d’ispirazione? Semplicemente il fatto di aver scoperto quegli autori nel corso dell’infanzia? Nel racconto “Otto scrittori” lasci trapelare l’idea, forse appena accennata, che dalla letteratura marinaresca provengano le più sublimi metafore della condizione umana.
Non so bene perché, ma vorrei non dover rispondere, anche perché la risposta è già in Otto scrittori. Mi limito a confermare che aver letto quei libri da bambino o da ragazzo è fondamentale.
5. Esiste l’ottimismo, nella narrazione di Michele Mari? “Rondini sul filo” e “Tu, sanguinosa infanzia” sono libri pervasi di un assoluto sentimento di malinconia, di perdita.
In effetti, non so cosa sia l’ottimismo. In ogni caso, anche riuscissi a farmene un’idea, la troverei un’idea antiletteraria.
6. L’io narrante di “Rondini sul filo” è un uomo colto, intelligente, sofisticato, eppure stordito dalla passione per la “strega burrosa”, la donna da cui è sedotto. La sua ossessione amorosa a tratti prende i colori dell’odio. Credi che in un mondo anodino, elettronico, anestetizzato come quello in cui viviamo, il lettore possa rendersi partecipe di una passione così divorante?
Non so rispondere. Immaginare le reazioni che i miei libri possono suscitare nei lettori va al di là delle mie possibilità, anche perché credo che la scrittura abbia in me modalità abbastanza autistiche.
7. Spesso, nei tuoi romanzi e racconti (mi viene in mente “Certi verdini”) i personaggi sono divorati da un’ossessione rara (i puzzle, in quel caso), che a tratti assume toni grotteschi per quanto è esagerata. Eppure, è quell’ossessione che li rende umani, credibili, e – alla fine – anche simpatici. Ti è mai accaduto di riflettere su questa contraddizione?
Non è una contraddizione! Gli ossessi e i selvatici sono simpatici, al contrario dei disinvolti brillanti mondani, eccetera.
8. Tu lavori molto con il linguaggio – pensa al lessico desueto e alle forme arcaizzanti di “Tu, sanguinosa infanzia”, o alla punteggiatura “ipnotica” di “Rondini sul filo”: ritieni più importante la storia che racconti, o lo stile che scegli per raccontarla?
Non voglio ripetere una banalità, ma una storia è lo stile con cui la si racconta. Nella fattispecie, non avrei potuto raccontare quella storia altrimenti che in quel modo (o non mi sarebbe piaciuto altrimenti che in quel m