Racconti

VACANZE ROMANE Davide L. Malesi

– Ti dissi: scinni! Vidi i’finilla. – La voce di Enzo, supplichevole, stonava in un ruolo che non era il suo. Lui, abituato a comandare. – Vidi i’finilla, pi’ffavuri.
– Ma che hai? – gli chiesi. Facevo lo gnorri. Tanto lo sapevo.
Quand’ero ragazzino volevano sfrattare la libreria in cui Diana era riuscita a sorridere. Il padrone dei locali voleva farci un negozio di abbigliamento. Non capivo perché: su via Appia Nuova di abiti a ingombrare vetrine ce n’erano a iosa, mentre di libreria solo quella. Da lì, so bene che ai posti unici ci si affeziona. E questo è un posto unico, nel suo genere.
– U’sai chiccè. Ti sintia!
Enzo, quando perdeva l’indirizzo di casa scordava anche l’italiano. Ci misi qualche secondo a decifrare il suo atroce dialetto. – Sentito cosa?
– Col cucchiaio. Prima. Col dannato cucchiaio. – D’accordo, con tutto quel silenzio era da scemi pensare che potesse non accorgersene. Ma da che era iniziata l’attesa, ero diventato irrequieto. A questo punto però non era il caso di dargli troppa soddisfazione. Enzo aveva la smania di dare ordini: e lì era veramente fuori luogo.
– Era un sistema per ammazzare il tempo, tipo la conta delle pecore – mentii.
– Si nu malidittu. Tu, ammazzare il tempo! E di me, non t’importa?
– Senti, non è colpa mia se le cose sono cambiate per me e non per te.
Enzo riprese a parlare un idioma più accettabile. – Cambiano, anche per me, se cambiano. Via da qui, stramaledizione! Chiudono l’albergo. Capisci? Io, in un altro posto impossibile. E tu invece…
Capivo, eccome.
Quando ebbero l’idea di sfrattare la libreria, partecipai alla raccolta di firme promossa dal Comitato di Quartiere per protestare: se avessero reso lo sfratto esecutivo, dove sarei andato? A comprare i libri, ma soprattutto a sfogliarli prima. Che lì si poteva: mentre nelle librerie del centro ti guardavano male. E poi per me quella libreria era l’Estate Romana: alla fine di luglio Diana ed io tornavamo dal mare su una vecchia Alfasud rossa e la prima cosa che facevamo appena arrivati a Roma era prendere due grattachecche da Mimmo ai Colli Albani e poi un salto alla libreria in cui Diana comprava un libro per sé e uno per me; allora Diana prendeva il programma dell’Estate Romana dal banco della libreria, gli dava una scorsa e diceva: – C’è l’Estate Romana. – Quindi per me l’Estate Romana iniziava da lì. E Diana sorrideva. (Diana era mia madre.)
Da lì: ogni volta che chiudono qualcosa d’importante, c’è una raccolta di firme.
Ed anche stavolta. Raccolte di firme in tutta Italia, ma niente. Via. Ai tempi della libreria, ci stetti male. E adesso, per Enzo è come fu per me con la libreria: chiude l’albergo, e lui non ha un posto migliore per stare. Dove andrà, lo guarderanno male.
Io ce l’ho invece, un posto migliore, grazie a Dio: o al Diavolo, o a nessuno.
– Tu te lo ricordi il primo giorno? – chiese. Si girò di spalle, per non far vedere che aveva gli occhi lucidi, povero fesso.
– Sì, me lo ricordo… come fosse ieri. A volte ci ripenso e mi dico che m’è andata bene – gli risposi.
Un cavolo.
Andava bene adesso. A Enzo no, perciò insisteva con quella solfa.
– Già, c’è andata bene. L’ho capito subito, quando mi hai guardato dritto negli occhi. Sapevo che con te non ci sarebbero stati problemi.
– Sembravi così sicuro di te – gli risposi io. Ma sì: rendiamogli le cose più facili. – E anche il tuo culo, non era niente male. – Questa era l’unica verità in tutto quello sproloquio. Ecco, pareva più calmo. – Vuoi ancora che scenda? Torno a letto? – gli chiesi.
– No, stai qui ancora un po’. Però mi prometti che non lo farai di nuovo? Non era per Luca, giuralo. Non dirmi che ti piace. Non posso sopportare quella faccia da quaqquaraqquà. Chigliu nun è ommu a spartiricci u pani’n’zemmula – s’infervorò Enzo.
E tu chi sei, la casta Susanna, stavo per chiedergli.
– No, caro. Sono stato indelicato. E non era per Luca – dissi invece -, lo sai che io me la faccio solo coi mafiosi.
Mi feci un appunto mentale che, ancora per qualche giorno, avrei fatto meglio a usare il cucchiaio per la minestra e non per le chiacchierate in codice Morse.
Con Luca, ci rivedremo dopo la chiusura: si va fa lo stesso soggiorno. E checché ne dica il mio mafioso preferito, non è mica male, il ragazzo.
Enzo aveva annusato qualcosa nell’aria e stava diventando così piagnucoloso che sarebbe stato un bello sfizio levarselo di torno.
Sarebbe stato facile, anche. Lo baciai alla base del collo, sfiorandola con le dita: un istante, un movimento preciso: chissà se avevo ancora la destrezza giusta. Quanto avevo amato quegli altri… così anche Enzo sarebbe rimasto amabile in eterno…
No. Un simile gesto d’amore avrebbe significato una sola cosa: un nuovo processo, l’inasprimento della pena. Non adesso. Non era una buona idea.
– Scendo, prima che passi la guardia a controllare le celle – sussurrai, baciando la nuca di Enzo. Ancora qualche giorno. Poi me ne vado da questo buco di carcere.
Capite, chiudono l’Asinara la settimana prossima e noialtri finiamo sparsi in tutta Italia. A me è andata splendidamente: soggiorno all’albergo Roma (1). Un istituto di pena di quelli dove con un niente – giusto un minimo di buona condotta – ottieni la riduzione, i permessi premio, eccetera. Ma Enzo, sul collo ha il 41 bis. Per lui, niente vacanze romane. Altro Carcere Speciale. A Pordenone. Dove gli unici mafiosi sono quelli del Brenta.
Essì, lo guarderanno male. Se si fermeranno a quello.
Veramente, non me ne frega nulla. Ma perché disilluderlo?
Quando ti disilludono, è una porcheria: io lo so. Ti ammazza, dentro. Se un dentro esiste. Ma sì, che mi spiego.
Perché poi ci siamo andati all’Estate Romana quella vera, al cinema all’aperto: c’era anche il fidanzato di Diana, Bruno (mio padre s’era perso per strada da un pezzo.) Somigliava un po’ a Enzo, a pensarci. Tornammo a casa che Diana era contenta. Era capace di essere contenta per cose normali, tipo l’Estate Romana, o il fatto che Ugo Vetere diventasse sindaco. Quella sera, contenta lo era per davvero e arrivati a casa Bruno l’abbracciò e la tirò su per la vita e la fece girare. Cadde dalla testa di lei la parrucca e io vidi che era senza capelli. Più avanti seppi che si chiamava chemioterapia, quella cosa che li faceva cadere.
La libreria l’hanno sfrattata dai suoi locali, Diana anche (2).

(1) “Albergo Roma” è il nome con cui i detenuti chiamano, per convenzione, il carcere di Rebibbia.

(2) Possiamo tranquillizzare il lettore sul destino della libreria: che fu riaperta a un isolato di distanza, più grande e bella di prima.

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