“E CHI LO SA COS E’ LA LETTERATURA DI QUESTI TEMPI?” – Conversazione con Raffaele La Capria
Oggi si entra in queste grandi librerie delle città italiane, e si è presi da un senso di disorientamento, non sappiamo a quali santi votarci, quali libri scegliere e cosa leggere. Come dovrebbe fare un giovane a capire cos’è letteratura e cosa invece altro?
Noi quando eravamo giovani avevamo la sensazione che fossero i libri a venire a noi. Oggi si trova nei grandi book-market un eccesso di libri che spesso si accompagna alla sensazione che non potendo leggerli tutti sarebbe meglio non leggerli per niente, questa sensazione d’impotenza culturale, noi non la sentivamo. Nella nostra formazione di giovani lettori erano centrali alcuni libri capitali ed erano i tuoi stessi compagni che ti dicevano cosa dovevi leggere. Noi abbiamo letto prima i russi, poi Kafka, poi gli americani… ad esempio si leggeva tutti Moby Dick perché tutti i tuoi amici leggevano Moby Dick, abbiamo letto si può dire tutti gli stessi libri, si leggeva tutti I fratelli Karamazov, poi Oblomov, Oneghin etc. Oggi come potrebbe essere possibile ciò? Ci troviamo di fronte ad un’offerta che è superiore alle possibilità di lettura, è come se si volesse far mangiare ad una persona più di quanto può digerire. In altre parole vi è una sovrapproduzione di testi che un qualsiasi lettore mai e poi mai, potrà assimilare. Da ciò deriva la sensazione dell’impotenza della cultura in relazione alla nostra conoscenza del mondo. Prima chi avrebbe mai sognato di leggere uno scrittore africano, o cinese? Prima le letterature erano quella russa, francese, inglese, americana e quella spagnola, e poche altre. Oggi invece in un mondo globalizzato vi sono decine di paesi che producono letteratura. Scegliere diventa così prevalentemente arbitrario. Non c’è più una guida che ti porta verso certi libri o verso certi altri. Ogni lettore si costruisce da solo la propria biblioteca, e quest’arbitrio può essere intelligente, oppure settario, stupido o unilaterale. Prima vi era una divisione netta: tra i libri cattivi e quelli buoni, quelli popolari e i capolavori della letteratura.
Sembra che non vi siano più riferimenti per capire cosa è letteratura e cosa non è letteratura oggi, tutto è opinabile, il successo di pubblico non è garanzia per un buon libro, come non lo è quello della critica, vi sono libri fatti in serie, best-seller d’ottima qualità. Buoni libri editi da piccoli o sconosciuti editori, e libri pubblicati con costose campagne pubblicitarie che non riescono nemmeno a rispettare le proiezioni per difetto dei responsabili del marketing. Che succede?
Semplicemente che tutti sanno scrivere un libro che sembra un libro scritto bene. Così non c’è una divisione netta tra cattiva e buona letteratura, vi è una buona-cattiva letteratura che è quella che per lo più fanno gli editori oggi. Praticamente l’80% dei libri che escono, libri ritenuti pubblicabili e pubblicati, sono cattiva-buona letteratura. Libri scritti bene, con gli aggettivi al loro posto, il periodo ordinato e ben strutturati.
Ma allora cos’è che non va?
Questi libri non hanno l’anima, sono disanimati, è una letteratura disanimata, che però va per la maggiore perché è quella che si vende di più. Le portaerei della letteratura, i best-seller americani tipo Stephen King, sono fatti da autori che sono capaci di creare intrecci all’altezza, e a volte addirittura dosati meglio di quelli di un Dostoevsky, però sono tutti fatti meccanicamente, fatti con le tecnica del romanzo, non sono fatti con l’irresistibile vocazione a raccontare le peripezie di un personaggio rappresentativo di un epoca. Dov’è oggi un personaggio in cui tutti possono riconoscersi? Dove è oggi un Julien Soren, un Emma Bovary, uno dei Karamazov, dove sta più un Pinocchio? Dov’è più Amleto o Werther!
L’epoca contemporanea è un epoca di eguali? Di mediocri che possono permettersi nel nostro sistema culturale di poter arrivare alla stampa?
Questa è l’epoca dell’omologazione, e certamente vi è un omologazione anche nel gusto del pubblico e nel livello medio della cultura che cerca d’essere accessibile a tutti.
Vi sono ancora, per fortuna, dei buoni libri, forse mancano i riferimenti culturali, le indicazioni. Una volta vi erano le riviste o le correnti letterarie a dare questi riferimenti, oggi non esistono più dei gruppi di persone che lavorano in una direzione, vi è un enorme disponibilità e basta, e anche nelle poche riviste di tendenze e indirizzo rimaste vi sono per lo più voci eterogenee. Non penso però che debba essere l’editore o altri gruppi ad indicare quali libri leggere e quali libri non leggere. La libertà è tale proprio perché la scelta è sempre un po’ angosciosa.
Chi allora dovrebbe lenire l’angoscia delle scelte non solo letterarie dei giovani se non la scuola? Ma la situazione dell’insegnamento letterario nelle scuole e nelle università italiane tra riforme e contro-riforme, scioperi, rivendicazioni salariali e altro…
Hai ragione, manca la formazione che dovrebbero dare la scuola, per lo meno le basi. Nelle università americane, quando studiano un autore danno su di esso tutte le indicazioni bibliografiche e gli strumenti atti a leggerlo e interpretarlo, poi chiedono agli studenti di utilizzarle come meglio possono.
A questo punto, cosa consiglia Raffaele La Capria, come s’insegna a leggere?
Innanzitutto leggendo. Un buon insegnante dovrebbe far leggere lo studente, fargli vedere perché Leopardi ha scritto una poesia in tanta economia, cosa significa l’organizzazione di un testo. Dovrebbero spiegare ai ragazzi non cose pedanti, ma portarli all’amore del testo. Penso che nello studio che si fa della letteratura ci vorrebbe più pratica, più esperienza della pagina vera e propria che commenti ed interpretazioni astratte. Bisogna imparare a riconoscere la parola che riverbera, il gustarsi proprio della parola. La parola che riverbera e non solo le nozioni erudite.
Lei ha scritto che avendo letto la sola sinossi di un libro, magari su di una quarta di copertina, se questa la non la convince, può non leggere il libro. Quanto è importante la trama in un romanzo?
Oggi molti libri si reggono su trame che non tengono, trame gratuite direi, dove o accade una cosa o un’altra non cambia nulla. Sono sempre più rari i libri che hanno trame giustificate e necessarie, e quindi letterarie. Pensiamo a cosa succede quando leggi Delitto e Castigo. La lettura di questo romanzo ti fa capire il perché una trama è un destino, perché il protagonista si trasforma in un assassino malgrado se stesso; la trama è l’ineluttabilità delle cose che avvengono. La trama è il destino che era segnato nel DNA del personaggio, come una spinta ineluttabile, una mano che lo spinge. Nei romanzi contemporanei le trame che cosa significano? La trama deve essere qualcosa come una forza, come il fato stesso. La trama deve essere costruita come se tu non potessi scappare da essa, la trama ti tiene prigioniero e ti detta la sua legge.
Come giudica il lavoro sperimentale sulla trama, come quello che hanno fatto o tentato di fare avanguardie e certo tipo di letteratura del Novecento meta-letteraria ed erudita?
Molta avanguardia ha iniziato a fare della letteratura sulla letteratura, non si sono scontrati con la realtà ma con la letteratura. Ha avuto il merito di far conoscere in Italia i punti di vista sul romanzo contemporaneo, ha fatto conoscere le tecniche, costruito e decostruito le storie. Molti epigoni dei grandi maestri di questo tipo di letteratura, anche a dir il vero per moda, hanno un po’ scimmiottato tali modelli. Ma tra la letteratura di quest’ultimi e la vera letteratura vi è la stessa differenza che vi è tra un robot ed un uomo vero. La vera letteratura non è un girare la chiavetta del robot per farlo muovere, ma è la vita, con le sue emozioni ed i suoi imprevisti. Con questo non voglio dire che l’artificio non sia arte, può essere arte purché sia animato da un qualcosa di vitale. Un minimo di originalità nelle persone e nelle cose ci vuole sempre.
Vi sono originalità e autori interessanti oggi nelle nostre librerie ?
Il mercato editoriale è costretto a offrire continuamente dei prodotti, c’è stato chi ha detto che la fine endogena del capitalismo sarà che sarà costretto a produrre troppo, ed io aggiungerei oggetti già obsolescenti e vecchi. Oggi un libro dura tre mesi al massimo. I buoni libri ci sono come ci sono sempre stati, ma certamente l’odierno eccesso di quantità degli stessi, non aiuta ad individuarli.