Critica letteraria

INCHIESTA – LA LETTERATURA DI NON FICTION IN ITALIA a cura di Davide L. Malesi

1. Negli Stati Uniti, nel mondo anglosassone in genere e in altri Paesi d´Europa, la Nonfiction (intesa come narrazione di fatti realmente avvenuti, spesso legati al mondo della cronaca o alla storia recente) è riconosciuta come un vero e proprio genere letterario. Ci sono libri di Nonfiction, come The Right Stuff di Tom Wolfe o In Cold Blood di Truman Capote, che sono considerati capolavori letterari a pieno titolo, seppure qualcuno che storce il naso ancora c´è. In Italia, sembra che vi sia, da parte della critica, una sorta di esitazione (o di rifiuto) di accordare alla Nonfiction la stessa dignità della poesia, o della narrativa. Perché questo, secondo voi, succede?

[Elio Paoloni] Bisognerebbe chiederlo agli esitanti. Ad ogni modo, se per “letteratura” ci si attiene alla definizione da manuale, quella più ampia, gli scritti giornalistici dovrebbero rientrare a pieno titolo nella Categoria. Secoli di letteratura italiana, del resto, sono stati segnati più dai trattatisti che dai poeti. Alla Feltrinelli non risulterebbe inappropriata la collocazione di Machiavelli e Castiglione sugli scaffali della Manualistica e dei trattati di Leonardo nel Fai da te.
Ed è nel giornalismo (intendo proprio gli articoli sui periodici, non solo i libri di Nonfiction) che mi imbatto negli scritti più appassionanti, spesso più significativi dei romanzi scritti dagli stessi autori. Trovo, ad esempio, che i romanzi di Pasolini siano datati, avviati a un ridimensionamento sempre più netto. I suoi articoli sul Corriere, invece, non perderanno mai valore, così come tanti suoi interventi spuri, addirittura certe apparizioni televisive. Vi sono conferenze di Vonnegut sulle sue esperienze di guerra infinitamente più toccanti (e forse edificanti, se questo termine può essere ancora usato senza arrossire) di tutti i suoi romanzi. Mi capita di trarre più gioia, più commozione, dagli scritti “d’occasione” che dalla narrativa d’invenzione. Molte inchieste della Fallaci erano sicuramente all’altezza di note firme statunitensi. E certe corrispondenze di Toni Capuozzo sono di rara potenza.
Credo anche (ma di questo un autore è il peggior giudice) di avere preso a modello più “giornalisti” che scrittori.

[Wu Ming 1] Beh, in realtà una tradizione di “letteratura di non-fiction” in Italia c’è eccome, e non da ieri. Si va dalla Storia della colonna infame ad Autobiografie della leggera di Montaldi, da I misteri di Alleghe di Sergio Saviane a A mano armata di Bianconi, fino a Compagni di sangue di Lucarelli & Giuttari, e chissà quanti altri esempi mi verrebbero in mente se ci pensassi qualche minuto di più. “Letteratura di non-fiction” è una definizione che va oltre il semplice “non-fiction novel”, mi sembra, e può includere diverse forme espressive che in Italia sono molto praticate, dalla memorialistica alla storia orale. E’ senz’altro letteratura di non-fiction Il mondo dei vinti di Nuto Revelli, e che dire delle Confessioni di un italiano, di Cristo si è fermato a Eboli, di Lussu, Rigoni Stern etc. etc. E Gian Carlo Fusco? Il catalogo è vastissimo.

[Piero Macchioni] Sulla non-fiction all’estero va detto che, soprattuto nei paesi anglosassoni, è più un genere residuale. Spesso comprende saggi, storia e quant’altro non finisca nella narrativa pura. Detto questo, se ciò che ci interessa è parlare di narrazione di fatti realmente avvenuti, la dignità di un’opera credo sia collegata al suo valore letterario. Tom Wolfe e Truman Capote hanno fatto letteratura? La risposta sembra scontata. Eppure oggi c’è ancora chi non è convinto. Il solito tic della critica, che non appare molto cambiata da quando nel 1965 Stanley Kauffmann sul New Republic stroncò A sangue freddo di Truman Capote: “Di questo libro si può dire che contiene sufficiente verità da rendere giustificato il commento: questa non è letteratura, è giornalismo”. Il punto è sempre lo stesso.

[Roberto Saviano] Accade che una parte della critica addestra il proprio muscolo cerebrale con i bilancini presi dalla strumentazione del filologo. In tal senso non v’è particolare uso a valutare opere letterarie che fondano se stesse nell’osservazione del reale e impostano la propria scrittura manovrando l’esistente. V’è diffidenza. Ma il perimetro tra poesia, narrativa e nonfiction non credo esista come categorie data, insomma non esiste una purezza a cui appellarsi. Parlare di categorie rigorose significherebbe smarrire gran parte del peso specifico delle opere letterarie. La pasta che usa lo scrittore la manipola come vuole semmai è ciò che vuole modellare che determina il risultato della scrittura. Ecco molti critici nostrani valutano la pasta utilizzata non il risultato modellato.

2. Esiste un “capolavoro” della letteratura italiana di Nonfiction? Un libro che, secondo voi, tutti dovrebbero leggere?

[Elio Paoloni] Il branco, di Andrea Carraro, ispirato a uno dei dodici episodi di stupro raccontati da Tina Lagostena Bassi nel suo L’avvocato delle donne. All’epoca, dato che Carraro stentava a trovare un editore, Enzo Siciliano, con la complicità di Sandro Veronesi, fece saltare la linea editoriale di Nuovi Argomenti e gli dedicò un numero intero. Dopo averlo letto sono stato male per una settimana. E’ un libro tremendo, mirabile illustrazione della banalità del male: ti porta a comprendere perfettamente come una brava persona (nella fattispecie un “quasi” carabiniere) possa divenire elemento del branco. E non è una comprensione di testa: Carraro riesce a farti sentire sporco. Eccellenti dovrebbero essere anche le ricostruzioni romanzate di Giancarlo de Cataldo, il magistrato scrittore, ma fino ad ora ho letto solo l’ottimo Terroni, che è un saggio.

[Piero Macchioni] Se questo è un uomo di Primo Levi credo dia una risposta eccellente a entrambi i questiti. Poi possiamo discutere se c’è differenza tra l’autobiografia e la non-fiction.

3. La Nonfiction adopera molti strumenti della narrativa d´invenzione (dialoghi, scene vividamente descritte, ambientazioni “narrate” con lo stile tipico dei romanzi) per creare suggestioni e avvincere il lettore. Non credete che, volendo raccontare con questi mezzi fatti realmente accaduti, esista il rischio di lasciarsi prendere la mano? Di mettersi a “inventare”, “riempire” i vuoti con materiale non propriamente documentato, insomma: di sconfinare nel campo della Fiction?

[Elio Paoloni] Certamente sì, con l’effetto Blu notte, o, nel peggiore dei casi, Chi l’ha visto: l’affanno di inventare per avere più suspence, più colore, più drammaticità, più “romanzesco” (come il Sucarelli della parodia di Fiorello, che ammazza di persona le vive e vegete presunte vittime per non rovinare lo scoop). La fantasia dell’autore, invece, dovrebbe servire solo ad annodare i fatti al tessuto quotidiano, alla nostra vita, alle nostre pulsioni. A “de-romanzare”. Che non significa soltanto raffreddare. Significa individuare sciocchi dettagli, incongruità di gesti, cortocircuiti psicologici, sommare se stessi ai personaggi. Per farlo bisogna avere spessore interiore: se è vero che in ognuno di noi c’è un assassino, o una donna, o un bambino, non è facile scovarli. E coltivarli può essere micidiale: mi sono chiesto spesso come Carraro abbia potuto sopravvivere al Branco.

[Wu Ming 1] Io credo che un narratore non debba porsi gli stessi problemi di uno storico. Dev’essere più spregiudicato. Faccio un esempio che ci riguarda: il nostro Asce di guerra è per un terzo l’autobiografia di Vitaliano Ravagli (e fin qui nulla di strano, o meglio, molto di strano, ma è strana la vita di Ravagli, non il modo di raccontarla), per un altro terzo non-fiction novel (un personaggio immaginario, tale Daniele Zani, incontra personaggi e racconta storie. I personaggi sono in gran parte realmente esistenti (e viventi), e le storie sono quelle che essi hanno raccontato a noi) e per l’ultimo terzo un saggio “disinvolto” sulle guerre d’Indocina. Tirando le somme, in quale territorio espressivo ci stiamo muovendo? E’ memorialistica? E’ storia? E’ romanzo? A queste domande bisognerebbe rispondere come il padrone di Jacques nel romanzo di Diderot Jacques il fatalista e il suo padrone: “Che importa, finché tu potrai parlare e io potrò ascoltare?”.

[Piero Macchioni] E’ inevitabile. Perché la letteratura è un’arte, mentre la ricostruzione storica e la ricerca sono delle discipline. Gli anacronismi, il materiale non documentato, si trova ovunque anche nella fiction che magari cerca ambientazioni storiche precise o suggestioni determinate. In funzione dell’Opera è inevitabile che qualche dettaglio passi in secondo piano.

[Roberto Saviano] La forza di quella che qui chiamiamo Nonfiction risiede nella forza critica che riserva all’oggetto che osserva. La critica, come qualcuno molto tempo fa ha detto, non è una passione del cervello ma il cervello della passione essa non vuole smontare ciò che prende in considerazione, ma vuole distruggerlo. Ecco, enfatizzando un po’ i toni voglio dire che le narrazioni che devono necessariamente giustapporsi per tracciare tutto il percorso del vero divengono congetture, e la congettura risulta il miglior modo per disporre di nuove ipotesi di verità, scavalcando tribunali, querele, interviste. Insomma accede direttamente ed in modo spregiudicato ad ogni tipo di informazione, dalla confessione di una portiera pettegola ad una rara informativa dei servizi segreti. Tutto nel marasma della scrittura. Certo può capitare che l’autore ecceda in ipotesi inverosimili, forzate o sbagliate, ma questo elemento è soltanto determinato dalla qualità della narrazione e della scrittura. Il libro di Marrazzo Il camorrista (“Pironti editore)”, per esempio, congettura moltissimo, ed in tempi in cui trovare conferme era cosa ardua. Ma le sue fonti e le sue ricerche erano ben fatte, tutto infatti poi è stato confermato e dimostrato. Questo libro mostra che è valso più un romanzo per comprendere il meccanismo-camorra, che le inchieste della magistratura napoletana.

4. Gli articoli di cronaca nera di Dino Buzzati, spesso vere e proprie “perle” in cui “la cronaca diventa poesia” – come scrisse un critico dell´epoca -, sono stati recentemente raccolti in volume da “Mondadori”. C´è la possibilità, da parte del giornalismo italiano, di raggiungere i vertici del Buzzati cronista, ovvero di scrivere cronaca che sia anche letteratura di alto livello? E´ impossibile? Oppure, a vostro giudizio, c´è già chi lo fa (e dunque, ci sono una, o più generazioni, di “nuovi Buzzati” all´opera?).

[Elio Paoloni] Devo essere sincero: evito la cronaca nera, dunque se il nuovo Buzzati è all’opera, io lo saprò troppo tardi. C’è un’eccezione: mi è capitato spesso di assistere a Un giorno in pretura, specie alle trasmissioni sul caso Marta Russo, e ritengo che siano un magnifico esempio di Nonfiction. Si potrebbe obiettare che lì l’assenza di fiction è assoluta ma non è così: il montaggio e i commenti di raccordo costituiscono un’interpretazione, comportano una narrazione. Ma a proposito di “cronaca che diventa poesia”, sono certo che il giornalismo sportivo italiano è stato ed è ad altissimi livelli. La dinastia dei Gianni (Brera, Mura, Clerici) è fatta di penne favolose. Senza dimenticare Gianpaolo Ormezzano. Anche quella è letteratura. Devo dire però che quando hanno tentato il romanzo (penso soprattutto ai Gesti bianchi di Gianni Clerici) non sono stati così ficcanti.

[Piero Macchioni] Gli articoli di Buzzati sono letteratura pura, ma lo erano anche quando uscivano in edicola? Oggi il giornalismo non può scrivere come negli anni ’50. La gente – con la tv o internet – è bombardata di informazioni, immagini, collegamenti per tutto il giorno. Il ritmo dell’informazione si è velocizzato: una volta c’era solo il Buzzati di turno che poteva “rendere” un fatto di cronaca. La concorrenza dell’immagine (e la sua velocità) ha tolto “colore” alla scrittura giornalistica. E comunque si dice che il cronista vero non debba mai utilizzare troppi aggettivi. Quelli sono a uso e consumo degli inviati, magari buoni narratori della carta stampata come Aldo Cazzullo o Gian Antonio Stella. Anche “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa, a modo suo, è un libro di non-fiction. Mentre Gianni Mura è già a un livello molto più “nobile” rispetto al cronista puro.

[Roberto Saviano] Temo che gli articoli di Buzzati siano esercizi di stile. La cronaca nera come poesie è un’affermazione che m’imbarazza. Il giornale deve avere rigore, e la cronaca nera pur se credo debba completamente mutare come stile e come capacità d’indagine può soltanto nell’ambito più ampio di un libro divenire altro da se. Il giornalismo può appellarsi alla strumentazione letteraria nelle descrizioni e nella capacità di previsione ma non può divenire di per se letteratura. L’inchiesta è l’elemento fondamentale per scardinare le dinamiche del vero, comprendere nuovi livelli di conoscenza, raggiungere rigorose scoperte. Dall’inchiesta poi, traslandola su altri piani ed in altri momenti può nascere letteratura, può intrecciarsi finalmente al verosimile, all’ipotesi, al sentimento. Il libro di Corrado Stajano Il sovversivo, edito da “Einaudi”, per esempio è un’inchiesta rigorosa, documentata e sconvolgente ma è anche uno dei libri letterariamente più toccanti e delicati che si siano mai scritti in Italia.

5. Leonardo Sciascia amava raccontare storie “vere” (vedi La scomparsa di Majorana, etc.), e a volte sosteneva essere quello il filone migliore della sua scrittura; e il filosofo romeno Cioran asseriva che gli pareva strano leggere racconti inventati, quando c’erano a disposizione tante storie realmente accadute con cui fare i conti. Lo stesso Poe raccontava, spesso e volentieri, fatti veri (come in La sepoltura prematura), rammentando al lettore l’importanza della “maestà del Vero”. La letteratura di Nonfiction, nel raccontare fatti realmente accaduti, cos’ha in più, o cos’ha di diverso, rispetto alla Fiction? E’ più seria? E’ più intensa, o più profonda?

[Elio Paoloni] Occorrerebbero lunghe precisazioni sulla serietà dell’aggettivo “serio”. Più intensa, può darsi. Ma dipende soltanto dalla statura dell’autore, non dal “genere”. Ci deve essere un forte coinvolgimento. Credo anch’io che il libro su Majorana sia una delle cose più grandi di Sciascia. Ricordo che lo lessi su insistenza di un amico che praticamente non leggeva mai nulla. Forse lo aveva comprato perché studiava ingegneria ed era ossessionato da Analisi due. Ma rimase incantato, quasi declamava le frasi, perciò lo presi e rimasi incantato anch’io.

[Piero Macchioni] La non-fiction, proprio per il fatto di nascere dall’osservazione del “Vero”, probabilmente genera nel lettore un tasso di emparia più alto di quello prodotto dalla fiction pura. Però, attenzione: spesso il lettore strizza l’occhio al verosimile più che al vero. Il Naturalismo francese, ad esempio, è fiction o non-fiction? I personaggi sono inventati, ma la cornice è assolutamente credibile.

[Roberto Saviano] Non credo si tratti di serietà mancante. Raccontando di fatti realmente accaduti ci si relazione con una materia già composta. E’ lì. Bisogna distruggerla, ricomporla, reimpostarla. Davanti al vero, davanti al fatto Sciascia è chiaramente esaltato dall’ipotesi di poter capire le leggi fisiche della coscienza dell’uomo, la quantistica delle anime, la meccanica dei sentimenti. Ci si avvicina al vero perché più grande del creatore v’è la creazione. Per Cioran credo che poi il problema fosse come sempre la menzogna sul vero, quella che Michelstaedter definirebbe la persuasione. Ovvero l’invenzione come coccola che l’uomo fa a se stesso. Per Cioran maneggiare la realtà è come suggellare la sua certezza del finito, sentire il gelo dell’impossibilità di mutamento. Dire la parola ultima senza possibilità di scappatoia. Poe nella maestà del vero riscontra l’alchimia prima di ogni scrittore, riuscire a scovare nella melma l’obolo dorato della verità.

6. Perché pochi scrittori italiani di narrativa, tentano la via della Nonfiction? E´ vero il famoso pregiudizio, sulla scrittore italiano contemporaneo, che lo vuole “ombelicale” e dunque poco interessato alla realtà, alla cronaca, sdegnoso all´idea di “documentarsi” (come un giornalista è invece abituato a fare), e invece interessato a raccontare anzitutto i fatti suoi? Quanto l’annoso provincialismo della narrativa italiana, ha a che vedere con questo fenomeno?

[Elio Paoloni] Se nel campo della Nonfiction includiamo il reportage dovremmo concludere che molti autori italiani la praticano, da Edoardo Albinati ad Antonio Pascale, da Franco Arminio a Livio Romano, scrittori che amo definire antropologi. Adesso poi c’è un filone di romanzi sul lavoro che non hanno molto della fiction, dalla Dismissione di Ermanno Rea al mio Piramidi (si perdoni l’autoreferenzialità). Certo, non sempre trattano singoli eventi eclatanti e riconoscibili. Ma i fatti eclatanti sono molto difficili da trattare. Possono dar luogo all’instant-book di cassetta o, all’opposto, a un trattamento troppo smorto di realtà sovraesposte (chissà perché mi viene in mente il bravo e simpatico Castellitto costretto a interpretare Ferrari e Padre Pio). Per quel che mi riguarda, la prospettiva di dovermi documentare, nel senso di spulciare gli archivi, è deprimente. Se però documentarsi significa sperimentare, o anche solo guardare e ascoltare intensamente, se, insomma, è un documentarsi en plein air, mi si invita a nozze.

[Piero Macchioni] Qualche anno fa la casa editrice Random House aveva compilato la lista dei 100 migliori libri non-fiction del XX secolo. Una lista che comprendeva i nomi più diversi; da Vladimir Nabokov a John Maynard Keynes. Nessun italiano in graduatoria, ma forse dipende anche dell’idea che la critica ha del nostro paese: all’estero traducono Calvino (un classico) e Camilleri, probabilmente attribuendo al secondo la capacità di rappresentare il linguaggio e gli atteggiamenti del nostro paese. Credo sia il discorso del verosimile che facevamo prima.

[Roberto Saviano] Né provincialismo né ombelichismo…credo sia piuttosto una questione di scelte e di stile. Bisogna studiare con rigore la materia che su vuole affrontare, la si deve conoscere sino in fondo. E spesso questa conoscenza disgusta. E’ una mera scelta. Né superiore né inferiore. Un modo di narrare, tutto qui. E se è vero come dice Tony Servillo in un film da poco uscito nelle sale che “la verità è noiosa” nulla è più scomodo e più terribile di scovare le noiose verità e farle emergere modificando le strutture di menzogna che come panoplie inattaccabili si sono imposte nelle dinamiche del reale. Questo compito di scavatrice di verità, la letteratura può ancora ben sostenerlo.

NOTE BIOGRAFICHE

Elio Paoloni vive ai confini settentrionali del Salento. Ha pubblicato Sostanze (“Manni” 2002), un viaggio tra droghe, libri e musica degli anni Sessanta e Settanta, e Piramidi (“Sironi” 2003), una narrazione per capitoli ambientata nel mondo delle vendite multilivello. Collabora a Stilos, Fernandel, Via Po e al Corriere del Mezzogiorno.

Wu Ming 1 fa parte fin dalle origini del gruppo di scrittori che col nome “Luther Blissett” ha firmato il romanzo Q (“Einaudi Stile libero”, 1999) e che da cinque anni si è trasformato nel collettivo Wu Ming. Nel 2004 è uscito il suo romanzo solista New Thing (“Einaudi Stile libero”).

Piero Macchioni, 25 anni, lavora alla cronaca di Roma de “Il Tempo”. Nel 2003 ha aperto un weblog giornalistico (www.leibniz.blogs.it) che segnala quotidianamente notizie e articoli nel campo dell’informazione, della letteratura, della tecnologia e del costume.

Roberto Saviano è nato a Napoli nel 1979. Collabora con inchieste e reportage a “Il Manifesto”, “Diario”, “Pulp Libri”.

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