SU OCCIDENTE PER PRINCIPIANTI. Conversazione con Tiziano Scarpa – Nicola Lagioia
TIZIANO SCARPA: Nel tuo romanzo non succede molto, ma succede tantissimo. Ogni pagina divaga ed è al tempo stesso pertinente. Sei pronto in qualsiasi momento a esorbitare in descrizioni e commenti inauditi restando sempre sul pezzo, non smettendo mai di raccontare. Si incontra di tutto, e contemporaneamente Tutto. Allora, riassunto impossibile. Come sintetizzeresti tu la tua trama? Ne hai voglia?
NICOLA LAGIOIA: Ci provo: è la storia di un giornalista fantasma (scrive per un grosso quotidiano nazionale ma i suoi articoli sono firmati da altri) che nell’estate del 2001 – insieme a un regista squattrinato e paranoico e a una bella studentessa universitaria – intraprende per conto del suo caposervizio senza scrupoli un viaggio su e giù per l’Italia sulle tracce di un altro fantasma: la sedicente prima amante di Rodolfo Valentino.
TIZIANO SCARPA: Il protagonista chiama la sua amica-amante Zelda, come la moglie di Scott Fitzgerald… I personaggi si mettono in viaggio per ritrovare il primo amorucolo, ancora in vita, di Rodolfo Valentino… Dunque siamo soltanto riverberi ectoplasmatici di una cultura-spettacolo più grande di noi? Siamo condannati a stare con gli occhi fissi sui vip di ieri e di oggi, e a raccontarli? La vita è un’ininterrotta mitopoiesi dei miti che non ci riguardano e che ci riguardano troppo, essendo noi dei semplici mitòpati?
NICOLA LAGIOIA: Certo, nella misura in cui è un mitòpate l’eroe del primo grande capolavoro della storia del romanzo: Don Chisciotte. Il personaggio di Cervantes inizialmente è solo Alonso Chisciano, un uomo il cui immaginario è devastato, o forse meglio posseduto, dalla retorica dei romanzi cavallereschi. Ribattezzandosi e partendo per le sue avventure non si limita a diventare un sottoprodotto delle pagine di Feliciano de Silva ma si trasforma nell’emblema della sua epoca – o della decadenza di un’intera epoca il che, in termini letterari, aumenta ancor più la sua levatura. Eppure, chi si sognerebbe di definire Don Chischiotte una semplice cover?
Adesso, sgombriamo per un attimo il campo dalla crisi del sentimento rinascimentale del XVII secolo e prendiamo in considerazione il collasso dell’umanesimo tra XX e XXI secolo; abbandoniamo la retorica dei romanzi cavallereschi e tuffiamoci in quella dell’informazione totalitaria: può succedere allora che il personaggio di un romanzo sia contaminato dalle irradiazioni di una star dello show-biz (a partire dalla ridefinizione del proprio nome, il caso di Zelda). Abbiamo insomma a che fare con l’impatto pervasivo della Società dello Spettacolo sulle nostre vite così come nel XVIII secolo l’uomo veniva minacciato dai primi vagiti della rivoluzione industriale. Se Dickens sente il bisogno di scrivere Tempi difficili perché uno scrittore oggi non dovrebbe sentire l’imperativo (etico ed estetico) di guardare in faccia la Medusa?
Il problema, più che degli scrittori, mi sembra che in Italia appartenga più che altro alla senesceza di certa critica, convinta ancora che la partita si giochi tra la linea Moravia-Pasolini e quella del gruppo 63 – e sempre pronta a ridurre di conseguenza la trattazione di questi temi a semplice divertissement o a una pericolosa connivenza con la macchina dello spettacolo. Qualche decennio fa Arbasino consigliava provocatoriamente una “gita a Chiasso” per far uscire la nostra critica dalla condizione di minorità e provincialismo in cui si era venuta a trovare durante il Ventennio. Io, più modestamente, propongo ai moribondi di cui sopra di sgusciare via per un attimo dai polmoni d’acciaio delle cattedre universitarie e delle terze pagine dei nostri giornali per vedere che cosa è diventato il mondo nel frattempo.
TIZIANO SCARPA: Nel tuo romanzo, Roma è il troiaio del pettegolezzo, e quindi il laboratorio d’avanguardia del giornalismo-spettacolo; Milano è la puttana del marketing che eroga tecnoconsulenze estetico-giuridiche alla dineyzzazione Usa; Napoli è la realizzazione dell’opera d’arte pop nell’epoca della sua masterizzabilità di contrabbando; i paesini del sud sono sull’orlo di una metamorfosi in villaggi vacanze popolati da orchi con le pupille a forma di euri… Come desideri che venga letto il tuo romanzo? Come un emblema dell’Italia, anzi, delle Italie di oggi?
NICOLA LAGIOIA: Mi sembra un viaggio in un’Italia mutante vista con lo sguardo di un mutato. La rivoluzione antropologica stigmatizzata da Pasolini non scorre più davanti ai nostri occhi ma nel nostro sistema circolatorio e neuronale. Se questo è vero, non credo abbia più molto senso – se non ai fini di una malinconia del tutto artificiosa – un atteggiamento manicheo di muro contro muro. Con tutto il rispetto per Pasolini e Ceronetti, credo che l’unico sistema per raccontare lo sfascio (e perché no, anche il fascino) di questa epoca e di questo paese sia quello di un’immersione totale. Mettersi in gioco fino all’ultmo, insomma, parlare con voci compromesse. Perché oggi hanno ancora molto da dire romanzi come Pasto Nudo o Viaggio al termine della notte? E perché il momento più alto di Blade Runner rimane il monologo del replicante? Ma attenzione: parlare con una voce compromessa non vuol dire non esercitare un pensiero critico squisitamente letterario. Anzi, è forse l’unico modo. C’è una differenza, insomma, tra i servizietti di Striscia la notizia e i Sotterranei del Vaticano, il primo romanzo a mia memoria che ruoti sul perno di una bufala “mediatica” (Leone XIII prigioniero a Castel Sant’Angelo).