Critica letteraria

INTERVISTA AD UN TESTO – Michele Infante ed Alessandra Pagliacci interrogano il Manuale del Perfetto Scrittore di Aldo Busi.

Abbiamo incontrato Aldo Busi, in occasione del suo reading a Roma, presso l’Auditorium Parco della Musica. Un Busi in formissima: che ha letto e commentato incipit dei suoi testi (l’editore “Luca Sassella”, ne ha pubblicato il testo con DVD allegato). Ci siamo chiesti cosa sia la letteratura per Aldo Busi, cosa sia questo personaggio vero o inventato che egli presenta come se stesso: e se esista un Busi dietro le maschere della finzione letteraria. E ci siamo posti alcune domande. Non potendo – per tempo e distanze -, e per certe giustissime ritrosie dell’autore a rispondere ai nostri interrogativi, ci siamo divertiti a riprendere un testo dell’autore, interrogandolo.

La sua immagine è quella dell’intellettuale estraneo all’establishment culturale, non compromesso, non organico. Ma dai suoi scritti emerge palese un forte attaccamento al mondo e un atteggiamento tutt’altro che d’evasione. Come vive questo sentimento di attrazione – repulsione per la realtà?

Quando una società vuole la testa di qualcuno, di un individuo davvero tale vuole la testa di uno Scrittore: sia fisicamente sia, ancor più volentieri, uccidendolo civilmente, integrandolo nel contesto, dove tutto sparisce e si amalgama, e un testo e la testa che l’ha creato non sono più distinguibili…individuabili…nella mucillagine contestuale che tutto riproduce e fagocita, rendendo vana e ineffettuale l’opposizione fra arte e vita, rendendo tutto esistenza, scorrere, fluire indistinto verso una ragione sociale, un capitale societario, un ordine superiore: il Sistema informante.

Come si è modificato il ruolo della letteratura nella contemporanea società dell’informazione rispetto al passato? Che senso ha la parola intellettuale, oggi?

Oggi in Italia abbiamo, infine, ciò che avevamo anche prima: torme di letterati e di accademici preoccupati di tirare a fine mese sfruttando l’uso della penna a carretta di Questo di Quello, premi, riviste, università, partiti, televisioni, sagrestie e viaggi premio. Uno Scrittore non soffre della sindrome del posto fisso in pericolo: sa di non averne diritto, e guai quindi a dargliene uno, ve lo tira dietro subito.

E’ importante che i media si occupino di letteratura, o si tratta solo di un riempitivo che non raggiunge il bersaglio?

Non si promuove mai un libro in televisione, la televisione promuove solo la televisione.

Lei ha spesso partecipato a trasmissioni televisive di facile impatto sul pubblico tentando, però, di romperne gli schemi con un atteggiamento volutamente provocatorio: crede che gli spettatori percepiscano i fini del suo comportamento, o l’immagine che hanno di lei è quella di un eccentrico giullare?

Scrittore e personaggio. Io sono un pagliaccio molto speciale: del tipo pagliaccio volontario, e dal narcisismo altruistico. Se qualcuno pensa di poter ridere di me, si rende subito conto che sta ridendo di sé alle sue stesse spalle: questo affascina di me in televisione, e questo non mi si perdona. Di non essere un prodotto televisivo assimilabile alla televisione.
Ero, e sono, talmente sicuro della forza della mia opera, talmente sicuro che essa sovrasti me e i miei talenti attoriali e autopromozionali (sono una grande presenza animalesca su ogni palcoscenico, lo so: e sono sempre io a usare la televisione, la televisione non è mai riuscita una sola volta a usare me), che mi sono potuto permettere molti svaghi a fin di lucro e di dispetto.

Quanto c’è di effimero nella letteratura rispetto all’esigenza di concretezza della società contemporanea?

Una volta un gradasso il doppio di me (ero già a terra dolorante per un pugno) mi stava colpendo con un bastone quando mi son messo a gridare, “Un momento, devo ancora sistemare una virgola!”, quello s’è fermato a mezz’aria col bastone, gli ho fatto lo sgambetto e mi sono messo in salvo.
Però non ricordo più in che periodo né se quella virgola era davvero necessaria. Ma, a parte questo, Scrivere è tutto meno che una via di fuga.

Dalla lettura delle sue opere si percepisce in maniera immediata il suo legame inscindibile, di sangue, con la scrittura. Quanto ha contato per lei il successo di pubblico nella decisione di continuare a scrivere? Avrebbe continuato a farlo se non ne avesse ottenuto?

Avrei dilapidato la mia vita chiuso – in me stesso e a me stesso – a scrivere come sarebbe piaciuto a me qualcosa da leggere. Pazienza se non avrei avuto lettori e se sul passaporto, alla voce “professione”, in voga allora, sarebbe rimasto “cameriere”; del resto, uno Scrittore chi altro è se non un cameriere invisibile che passa nelle camere altrui per rimetterle in ordine senza mai farne uso lui? Che poi i miei lettori-acquirenti siano diventati i soliti centomila nel tempo o ventimila subito, non riguarda me ma la banca: centomila sono più o meno i sostenitori di Alexander Fleming dopo che aveva scoperto la penicillina, un numero del tutto insignificante per influenzare il comportamento di Alexander, prima e durante e dopo la sua scoperta, se si pensa che della penicillina avevano bisogno in cinque miliardi di scettici e un milione di medici bastian contrari; se Fleming si fosse sentito influenzato o coinvolto o arrivato o accettato o sostenuto solo nella prospettiva e nella conquista di centomila sifilitici dipo cinquant’anni di sconforto, di isolamento, di solitudine e di caparbietà scientifica avrebbe fatto prima ad avere più aficionados e credito e onori aprendo una bottega di tatuaggi e di piercing al Rione Sanità di Napoli.

Quando qualcuno mi dice che un mio libro non gli è piaciuto, La delfina bizantina, per esempio, gli rispondo che è giusto che sia così, perché non si possono leggere i miei libri in una prospettiva di autocompiacimento e della prova d forza di chi deve piacere a chi, altrimenti i miei libri respingono. Gli rispondo così nel modo più onesto che conosca: guarda che sarai tu a non essere piaciuto a lui.

Anche le sue vicende biografiche evidenziano in lei una propensione del tutto naturale allo scrivere; il carattere inimitabile del suo stile lo testimonia. Che cosa pensa dell’attuale proliferare di corsi di scrittura creativa?

Scrittore, oltre che a non avere sinonimo, è per me un sostantivo declinabile passibile di concordanze verbali risultanti da un’origine sottostante e determinante la specie, non è come il pane che deriva dalla farina e può moltiplicarsi in michette o sfilatini o l’imbianchino che deriva per forza di cose da un uomo che fa la sua strada, essere Scrittore non ha niente a che vedere con il fatto di essere prima nati uomini e poi esserne derivati qualcosa per forza di cose, lo Scrittore è un elemento originale in sé, come il magnesio o l’uranio, un fenomeno inalterabile nella sua essenza e unicità e irriducibilità a altri termini che contemplino il plurale, è singolare sempre e in ogni caso, è come dire, e solo per spiegarne la razionalità sintattica perché quella concettuale non corrisponde affatto, “nessuno nasce vento, ma meno aria ancora che si crede vento lo diventa”, sicché l’espressione “nessuno nasce Scrittore ma meno ancora lo diventa” non è dispiegabile, per renderla più elementare di uno stesso elemento, in “nessuno nasce scrittore ma meno uomini ancora lo diventano”, è piuttosto “nessuno nasce scrittore, ma meno ancora diventa Scrittore chi dovesse non nascerci e addirittura nascerci”.

Quanto hanno influito le sue letture sulla sua produzione? Qual è il rapporto tra la pratica della lettura e quella della scrittura?

Lo Scrittore, creando tutto dal niente dato (la lingua usata), crea il lettore, il lettore crea se stesso, ma non crea lo Scrittore letto. Il processo inverso è possibile ma non perverso, è da non-Scrittore prestarsi a essere creato dal lettore.

Ci sono autori che, a suo parere, hanno ottenuto un successo immeritato?

Io mi avvilisco ancora se penso che mentre Manzoni scriveva nel ’40-’42 gli stessi “Promessi Sposi” del ’27, negli stessi anni (1844) Thackeray dava alle stampe la prima e più bella versione di Le memorie di Barry Lyndon, ma mi indigno del tutto se ancora oggi nelle scuole italiane fanno leggere, perché italiano, Manzoni e non Thackeray, che è molto di più di uno scrittore italiano pur eccellente: è uno Scrittore.

Qual è l’influenza che Busi ha avuto sulla storia della letteratura italiana?

Quando mi dicono – ormai, a forza di dirlo da me, lo dicono in parecchi – che sono il più grande Scrittore italiano del secolo, sorrido mestamente e dico: magari! Purtroppo sono l’unico, ri-ri-ripeto, e non solo di questo secolo, ma di parecchi altri.

* “Manuale della perfetta madre” Mondadori, 2003

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