VENTI DA PONENTE. LE RIVISTE LETTERARIE AMERICANE OGGI. di Elisa Bolchi a cura di Seia Montanelli e Davide L. Malesi
Dave Eggers, giovane scrittore americano “di culto” (sua la fin troppo lodata Opera struggente di un formidabile genio, “Mondadori” 2002) nonché editore della rivista “McSweeney’s”, nell’introduzione dell’antologia dei migliori racconti pubblicati dal suo magazine (antologia pubblicata in Italia con il titolo originale The Best of McSweeney’s, da “minimum fax”, nel 2004) scrive: “… gli Stati Uniti hanno più riviste letterarie di qualunque altra nazione – non ho controllato esattamente quante ce ne sono in Sudafrica o in Egitto o in una serie di altri paesi ma penso vi fiderete lo stesso – e non ho idea di quale sia il motivo”. Questa affermazione, pur sostanzialmente vera, prescinde da una sana e utile riflessione su cosa siano le riviste letterarie. Cosa vogliamo intendere, quando adoperiamo il termine rivista letteraria? Un compromesso accettabile, probabilmente, è quello di considerare tale qualsiasi pubblicazione, più o meno periodica, sia dedicata in prevalenza alla pubblicazione di testi letterari (di narrativa, saggistica o critica, poco importa) indipendentemente dalle pretese e aspirazioni della testata. Si tratta di una definizione assai ampia, ma è l’unica che ci consente d’inserire, nel novero delle cosiddette “riviste letterarie”, pubblicazioni a dir poco antitetiche come la storica “Lacerba” di papiniana memoria, e i pulp magazines americani sul genere di “Black Mask” e “Thrilling Wonder Stories”, che pure in assenza di pretese letterarie (unico e solo scopo di quei magazines era di vendere il più alto numero di copie possibile) tennero a battesimo scrittori importanti come Raymond Chandler, Dashiell Hammett e Cornell Woolrich. Quanto all’affermazione di Eggers, comunque, è certamente assai probabile che gli Stati Uniti abbiano più riviste dedite alla pubblicazione di testi letterari di ogni altro Paese. Lo stesso Eggers, nell’introduzione a The Best of McSweeney’s, compie una superficiale disamina del fenomeno, che però basta a darne un’idea abbastanza chiara: basti considerare che – come osserva fin troppo entusiasticamente il direttore di “McSweeney’s” – negli USA ogni college possiede almeno una rivista letteraria, sebbene la qualità di tali pubblicazioni sia tutt’altro che omogenea, e venga considerata da Eggers con dosi eccessive di ottimismo. Ecco, quindi, il perché della scelta di mettere sotto esame, qui, proprio le riviste americane: che offrono un più vasto panorama e una più interessante casistica di variazioni sul tema del “fenomeno riviste” rispetto allo scenario italiano, di per sé abbastanza ristretto ed asfittico.
Il ruolo delle riviste
Agli inizi del Novecento le riviste europee – dalla “Nouvelle Revue Française” alla leggendaria “Ver Sacrum” austriaca, da “Die Fackel” di Karl Kraus alla fiorentina “Lacerba” – si prefiggevano degli scopi relativamente precisi: pubblicare testi letterari nazionali e stranieri e aprire dibattiti sulle questioni letterarie e culturali più vive. Queste riviste venivano non solo fondate ma addirittura scritte nei caffè, forma di “salotto letterario” tipica del Novecento, ove gli intellettuali si ritrovavano. Scrive Giampiero Mughini nel libro Un secolo d’amore (“Mondadori” 1999):
Nella Madrid degli anni Dieci, in Calle de las Carretas, fa macchia a sé il “Pombo”, il caffè dove il sabato sera è difficile mancare Gòmez de la Serna, quello che sta facendo da padrino a ogni gesto delle avanguardie spagnole. Nella Barcellona a cavallo tra i due secoli ha aperto i battenti un locale metà caffè e metà cabaret, “el quatre Gats”, dove il giovanissimo Pablo Ruiz detto Picasso ha il piacere di vedere per la prima volta esposte le sue opere. Nella Parigi di inizio del secolo, lì dove Boulevard Montparnasse si sta allontanando da Place Denfert-Rochereau, alla “Closerie des Lilas” s’è accampata la cultura francese d’avanguardia […].
Un tale clima, rispetto a quello dei salotti ottocenteschi, è senza dubbio più vivo e libero: scrive ancora Giampiero Mughini:
Le “Giubbe Rosse” [celebre caffè fiorentino, frequentato all’inizio del Novecento dal fior fiore dell’intellighenzia, NdR] stava a piazza Vittorio Emanuele […]. Entravi, una prima sala con gli avventori casuali, una seconda sala che fungeva da ristorante, una terza dov’erano i giocatori di dama e i lacerbiani [redattori della rivista “Lacerba”, NdR] […]. Era lì, in quella stanzetta, che venivano preparati e rimuginati i numeri di “Lacerba”.
Quel famoso caffè venne descritto dallo scrittore Italo Tavolato come “… quartier generale dei pionieri della modernità; arsenale di spiriti, veglia di precursori, tomba di filistei”. Naturalmente oggi, i luoghi ove ci s’incontra e si discute – talvolta addirittura si litiga – di e per la cultura, sono cambiati. Se nel Cinquecento essi erano le corti, nel Settecento le accademie, nell’Ottocento i salotti e nel Novecento i caffè letterari, oggi luogo principe del dibattito culturale è il Web, dove in “salotti virtuali” (forum) o sulle pagine dei weblog è possibile discutere, talora anche in tempo reale, d’arte e di cultura. Il dibattito non si è dunque esaurito, ma si è semplicemente spostato, per adeguarsi alla velocità dei tempi (e al fatto che molti scrittori d’oggi, su tutti gli antesignani del movimento cyberpunk William Gibson e Bruce Sterling, amano servirsi del computer per discutere tra di loro e con il pubblico. Scrive Sterling nel suo saggio E-text (incluso nel volume Parco giochi con pena di morte, “Mondadori” 2001):
Ora passo una shoccante quantità di tempo online. Ero abituato a mantenere un’ampia corrispondenza letteraria attraverso la posta. Ora, quest’attività è sul punto di estinguersi, sostituita dai fax e dalle e-mail. Per mesi non ho più scritto una lettera che non fosse indirizzata a qualche anima priva di modem in Gran Bretagna, Russia, Giappone o Messico.
In sintonia coi tempi, di conseguenza, numerose sono le riviste letterarie che mettono forum e weblog specifici a disposizione dei lettori, come quello di “Two Lines” [www.twolines.com], rivista di e per traduttori, o il più generico forum di “3:AM” [www.3ammagazine.com], dedicato ai dibattiti di cultura generale. Vi sono poi i weblog (o più semplicemente blog): lo scrittore ed editor Giulio Mozzi, che ne gestisce uno [www.giuliomozzi.com], li descrive così:
Per sommi capi, si chiama blog una tecnologia che permette di pubblicare nel web con estrema facilità. Pubblicare un testo nel proprio blog non è più complicato che spedire un’e-mail (so che per molti anche le e-mail sono un mistero; ma non so che farci; non sono cose indispensabili, come non è indispensabile leggere questo articolo). Quasi tutti i portali italiani (Clarence, Virgilio ecc.) danno la possibilità di aprire dei blog (gratis). Basta iscriversi. Il bello del blog (che si chiama così, mi dicono, perché è una contrazione di web log, “una traccia nel web”) è che tutti i pezzi che pubblicate vengono impaginati automaticamente uno sotto l’altro, corredati di data e ora. Appena spedite un pezzo nuovo, questo finisce in cima alla pagina; mentre gli altri scorrono verso il basso. Un po’ come certi espositori/distributori di pacchetti di caramelle, per spiegarsi.
Esistono blog di argomento letterario (attenzione: non necessariamente i blog di scrittori affrontano temi letterari), dove è possibile leggere recensioni di libri (ed eventualmente commentarle, animando vere e proprie discussioni). Fermo restando che in questo articolo saranno trattati casi relativi alla scena anglosassone, diamo un’occhiata più da vicino. Un bell’esempio di blog letterario è quello legato alla rivista “Bookslut” [www.bookslut.com/blog], attivo dall’agosto 2003; interessanti sono anche blog come “Black poetry” [www.black-poetry.com], che raccoglie poesia afroamericana, o blog specializzati in recensioni, come quello della casa editrice “Readersread” [www.readersread.com/bookblog], ove è possibile discutere di novità editoriali; o ancora “Bookanisto” [bookanisto.typepad.com[, “Bookzen” [bookzen.blogspot.com] e “Collected miscellany” [www.collectedmiscellany.com] che presentano, oltre a recensioni, notizie e curiosità a proposito di libri e scrittori.
Riviste ed esordienti
Il panorama editoriale contemporaneo, saturo di ogni genere e forma di letteratura – “alta”, “bassa”, “di consumo” etc. – è ben più vasto di quello dei secoli passati, anzi pressoché sterminato, al punto che ben di rado per un giovane scrittore è semplice trovare visibilità e opportunità di pubblicazione. Per questa ragione gli esordienti trovano sovente rifugio tra le pagine delle riviste (“Ci sono molte riviste che pubblicano racconti, quello è un buon banco di prova”, secondo lo scrittore italiano Paolo Nori), le cui pagine facilmente ospitano testi di nuovi talenti accanto a quelli di nomi più celebri. È il caso della “Ploughshares Review”: fondata a Boston nel 1971, ospitò alcuni di quelli che sono ora fra gli autori più rispettati del panorama letterario mondiale come John Irving e Sue Miller: e ancor oggi continua a pubblicare saggi, recensioni, narrazioni e versi.
Dalla carta al web, e ritorno
Anche riviste già affermate in tutto il mondo, come la “New York Review of Books”, o “The New Criterion” o “The American Poetry Review”, hanno iniziato l’attività su Internet creando siti web ove è possibile consultare i numeri arretrati, gli archivi, le novità, etc. Esiste pure una tendenza opposta: alcune riviste, nate “elettroniche”, hanno anche pubblicato raccolte cartacee o sono passate alla pubblicazione a stampa, come “Me three” [www.methree.net], rivista elettronica che dal 2005 è approdata al mondo cartaceo con una forma ben differente da quella “in rete” – grafica più curata, pubblicazione di una selezione dei migliori articoli – creando così quasi un pendant della rivista tradizionale. Tuttavia, il caso di “Me three” è un po’ un’eccezione: molte altre riviste “elettroniche” preferiscono continuare a pubblicare unicamente sul Web, per ragioni di flessibilità e di costi. È il caso della “Richmond Review” [www.richmondreview.co.uk], che vanta il primato di prima rivista del Regno Unito pubblicata solo elettronicamente. “The Alsop Review” [www.alsopreview.com] mira invece a pubblicare, quantomeno negli intenti, il “meglio della scrittura nel Web”. Anche la già citata “McSweeney’s” è presente nel Web con forme e modi completamente differenti da quelli della stampa: mentre il sito [www.mcsweeneys.net] è un semplice contenitore, un archivio dove conservare tutto ciò che viene pubblicato e nel quale è possibile navigare per saperne di più della rivista, ogni numero stampato è un pezzo unico, una sorta di “libro d’arte”. Stampata in Islanda, a Reykjavik, “McSweeney’s” è diffusa in volumi di gran pregio, con particolarità quali cd o dvd allegati o confezioni esclusive.
Fondazioni, premi, nuovi talenti
Alcune riviste hanno creato vere e proprie fondazioni, che mirano a promuovere (e difendere) l’arte e la letteratura. Un esempio è la “Paris Review” Foundation, che – in base alle dichiarazioni dei propri esponenti – “mira a portare la letteratura nel mondo in modo più concreto, come qualcosa che deve essere esperito, celebrato e goduto dalla gente di ogni parte del mondo” e il cui scopo è “ispirare, promuovere e celebrare l’eccellenza nell’arte letteraria”. Altre riviste organizzano premi letterari: è il caso della stessa “Paris Review” (quattro premi letterari annuali) ma anche di “Zoetrope: All-story”, magazine nato da un’idea di Francis Ford Coppola (di cui “Mondadori” ha pubblicato in Italia una raccolta di best stories), della “Alsop Review”, della “Boston Book Review”, etc. Mentre “McSweeney’s”, con i suoi laboratori 826, essa ha creato degli spazi dove giovani dai 6 ai 18 anni vengono aiutati, da tutor volontari, a migliorare le proprie capacità e il proprio stile di scrittura.
Gli stranieri
Le riviste pubblicate negli USA non si limitano ad ospitare testi di autori nazionali. Sempre in tema di esempi nobili, la “Literary Review” pubblica autori da più di dieci nazionalità diverse (fra cui Iran, Portogallo, Filippine, Galles e Olanda), e sulle pagine di “The Drunken Boat” troviamo poesie dall’Equador, Canada, Germania, Australia, Inghilterra, Cile e Nepal (oltre che, ovviamente, dagli Stati Uniti).