Conversazioni

LA DISPERAZIONE NEL COMICO. Stefano Benni e Dario Fo parlano di Margherita Dolcevita

Riportiamo qui di seguito la conversazione tra il Premio Nobel Dario Fò e Stefano Benni, che si sono incontrati a Roma, per parlare dell’ultimo libro di Stefano Benni, Margherita Dolcevita (Feltrinelli pp 160 € 14,00). Può essere utile per il lettore scoprire la malinconia e anche “la disperazione” dietro la voce di due scrittori che rappresentano la tradizione italiana di una letteratura satirica e allo stesso tempo polemista ed impegnata. Fo e Benni dimostrano di saper far pensare e allo stesso tempo ridere, contestare, fare opposizione politica, portare avanti valori come la laicità ed il senso della storia; ed una critica ai costumi del tempo, ma di farlo con leggerezza e creatività. La conversazione contiene molti spunti sulla scrittura e sui personaggi dell’ultimo libro di Benni ma anche spunti aneddotici ed una riflessione su televisione, politica, classe dirigente, degli ultimi anni della storia italiana.

STEFANO BENNI: Siamo qui per parlare del mio ultimo libro Margherita Dolce vita, ma prima vorrei fare una premessa, ho scritto questo libro in un periodo, gli ultimi due anni della mia vita, di disperazione e di grande solitudine, e più ero solo, più mi isolavo nella scrittura e più ero solo, beh… è stato un libro faticoso. Sentivo che il paese ed il contesto intorno a me presentavano molte cose che non mi piacevano, che mi facevano essere amareggiato. Smettiamola con la domanda ma l’arte cambia qualcosa, quando mi dicono che i libri non cambiano il mondo, né lo migliorano o altro, io ormai rispondo, ma perché oggi la politica, la politica che conosciamo, la politica di questa nostra classe dirigente che vediamo in azione in Italia, cambia qualcosa?
Anzi, se cambia qualcosa, se il paese mostra di voler cambiare e fa sperare in un rinnovamento è proprio per il lavoro sotterraneo che stanno facendo quelli che io chiamo l’intelligenza italiana, che è fatta dagli insegnanti nelle scuole, da chi fa arte, fa satira, porta avanti le sue idee sui giornali, tutti quelli che non scelgono di omologarsi, e già come atto sovversivo per esempio, decidono di entrare in libreria invece di piazzarsi di fronte al mostro televisivo.
DARIO FO: Considero straordinario il tuo modo di scrivere, la tua comicità e la tua capacità di renderci e darci personaggi così vivi. Margherita Dolcevita è un libro funambolico e giocoso, per non parlare della tua scrittura. Qual è il tuo modo di scrivere, magari i tuoi lettori e molti giovani vogliono sapere come ti muovi, come pensi, come riesci a gestire la tua creatività? Come hai lavorato a questo tuo ultimo libro?
BENNI: Appena finisco un libro non riesco a parlarne, anzi preferirei parlarne non stasera, ma tra un anno. Un anno è una distanza necessaria, essenziale, tra un anno si potrà vedere se il libro ha lasciato una traccia, una scia. Scrivo, e riscrivo, per tutto il periodo della stesura, e non scrivo con facilità, non è come per te Dario, che aggiungi, metti, correggi ogni sera il testo del tuo spettacolo, anzi, ti invidio per questo. Per uno scrittore il problema è dire “basta”, è capire che dopo un certo punto, non puoi più modificare nulla, certo vi sono scrittori tipo Arbasino, che riscrivono sempre lo stesso libro, io invece non ci riesco, i miei libri finiscono con un punto finale, e poi appartengono ai lettori.
FO: Il personaggio di Margherita Dolcevita mi è piaciuto molto, mi ha entusiasmato, mi ha avvinto e convinto. Questa bambina che con il suo bisogno di piacere, di essere amata, la sua voglia d’ amore, di scegliere e lottare per la persona che ama, e questo suo amare un po’ tutti, sia la famiglia che gli amici, sia le cose e di descriverli, cercarli, renderne emozioni ed odori. Mi sembra quasi un libro scritto al rovescio partendo da un personaggio per via, via costruire tutti gli altri.
BENNI: Per me è un libro pieno di vita, qualche lettore mi ha detto che ha una colonna sonora triste, che è diverso da altri miei libri, con meno ottimismo. In questi giorni sto lavorando su Gli ultimi giorni di Pompeo di Andrea Pazienza, anche lì in quegli ultimi giorni di vita di un tossicomane metto in scena e parlo di un dolore, ma quel dolore ha in sé un grande atto di amore per la vita, coraggio e positività, come poi dice lo stesso Pazienza. “Gli unici passi indietro che ho fatto nella vita è stato per prendere la rincorsa”. Con la stesa vitalità io penso a Margherita Dolcevita, ma come tu Dario mi hai insegnato ogni pubblico è diverso, i lettori leggono cose diverse anche nello stesso libro. Ricordo che un giorno in treno incontrai un signore che leggeva un mio libro Terra, un libro che io avevo scritto pensandolo come un libro divertente, comico, ilare. Invece questi lo leggeva con una faccia contrita, triste, con una smorfia di serietà eccessiva, lo leggeva senza ridere mai ne dare un segno di divertimento. Ha avuto solo un sorrisetto, una smorfia all’altezza di Roma Nord, non ho mai saputo quale battuta l’abbia fatto ridere, ma so che c’era una sola battuta in tutto il libro …
FO: La stessa cosa mi è successa una volta a teatro. Vi era tra il pubblico uno spettatore di gesso, serio, impassibile, che mentre tutti ridevano, sghignazzavano, mormoravano, lui se ne stava zitto, impassibile, ed io lo vedevo dal palco, era nelle prime file. Vedevo il suo volto, nessuna reazione, non faceva nulla, aveva un’espressione di pietra. Poi a fine spettacolo è venuto nel camerino è mi ha detto che si è divertito moltissimo e mi ha fatto i complimenti.
BENNI: A proposito di complimenti, mi sono sentito molto lusingato, quando una ragazza di 22 anni è venuta da me perché stava facendo una tesi di laurea sul mio lavoro, e mi ha detto: “Lei è l’unico scrittore italiano ancora vivo che mi piace”. Beh, quando non c’è più qualcuno che sa fare le cose meglio di te, allora significa che sei vecchio, ma fino a quando ci saranno ancora Dario e Franca, io potrò rimanere giovane …
FO: Anche a me è capitato un episodio del genere. Ero in Inghilterra per delle conferenze ed uno studente mi ha chiesto se conoscevo Dario Fò, io gli ho detto divertito di sì, e lui ridendo: “sì, si certo, ma se Dario Fò è morto!” Per tornare al libro, Margherita Dolcevita devo dire che appena l’ho letto ho pensato a come si potrebbe mettere in scena questo testo, testo pieno di giocosità e poesia, ma anche di conflitto, ti temi politici ed economici. L’andamento della scrittura con i personaggi che entrano in scena e escono dalla scena, ma non sono mai abbandonati sulla pagina dallo scrittore, che sono seguiti nei loro movimenti anche quelli più funambolici, anche quando volano. Ecco, io penso che per mettere in scena questo libro, bisognerebbe avere un circo, un circo con molte piste, tre, quattro, cinque, perché i personaggi sono un po’ come degli acrobati, si muovono su diversi piani. Mi fanno pensare ad una ragazza che anni fa vidi proprio in un circo. Prima di salire sugli attrezzi e di volteggiare nell’aria, si spalmava il corpo di borotalco, ma s’inzuppava, completamente di borotalco, tanto da diventare bianca. Poi una volta in aria, mentre saltava, e faceva le sue acrobazie, tutto questo borotalco si spandeva per l’aria, e la ragazza veniva avvolta da una nuotala bianca, sembrava scomparire in questa nuvola, in questa nebbia, era come se passasse in un’altra dimensione, fosse leggerissima. Mentre il finale, che è un finale tragico e disperato lo metterei in scena come un grande circo equestre.
BENNI: Gli scrittori conservano una memoria di quando essi stessi sono stati ragazzi o bambini, e non hanno sesso, possono parlare e guardare il mondo con gli occhi di un uomo, di una donna, di una bambina. Tra l’altro, pensiamo sia a Dario che a Franca, che ogni sera interpretano un personaggio diverso in teatro. Le misure della scrittura sono le stesse misure dei sogni. Quando sogniamo non sappiamo perché vi sono quei personaggi o quelle persone, non sappiamo perché avvengono certe cose. Quando scrivo, io cerco di interpretare una sorta di sogno, e quindi accetto quello che sto per raccontare. Non sono di quelli che seguono regole precise, di quelli da manuale delle istruzioni, da: “ecco le 25 regole per scrivere un giallo!”, oppure “per scrivere un libro bisogna fare così… qui entra in scena il personaggio, lì c’è l’azione, etc.”
Certo se l’ispirazione è caotica, disordinata, misteriosa, confusa, la tecnica è spietata, precisa, meticolosa, è un lavoro artigianale, ad esempio mi sono documentato molto sul lessico delle ragazze quindicenni di oggi per rendere il personaggio di Margherita. Nel testo c’è una citazione di un libro che ho amato molto, la Lolita di Nabokov, anzi vi è un personaggio quello di Bella che è una sorta di Lolita perversa. Lolita è una donna volgare ma dotata di una grande anima. Devo anche dire che sono molto ottimista per questa nuova generazione di giovani, mi sembra molto meglio di quella degli anni 80’ per esempio, sono onnivori, leggono un libro e poi giocano alla play-station, passano dall’una all’altra cosa, ma sono curiosi, hanno un senso critico, si guardano intorno, anche se rimane l’appiattimento della televisione. Poi ovviamente come tutti i giovani sono un po’ confusi, come dice Rimbaud che parla non a caso di “disordine sacro”.
FO: Non parliamo di TV. Io ormai io ci vado in onda solo dopo mezzanotte. Se fai programmi sulla pittura, sulla storia di lotte, sacrifici, guerre che vi è dietro una cattedrale, ti mettono in onda, quando il 70% degli spettatori dorme.
BENNI: Io non ho rinunciato ad usare la televisione, io non c’è l’ho con la televisione, io vedo sempre la televisione svedese che mi piace molto. Al di là delle ovvie eccezioni, in generale devo dire che quella italiana è fatta per immiserire l’intelligenza, nessuno in Tv dice mai “ho torto”, “su questo argomento non ne so niente”, tutti che parlano di tutti, e poi tutta la comicità stancante, vuota, della risata falsa di alcuni comici. La Tv crea e gestisce situazioni irreali. A guardare la TV e l’ultima sua creazione, la papa-idolatria, sembra che in Italia sia finita la laicità, che questo non sia più un paese laico. Rispetto e lavoro come volontario a fianco a fianco con preti e cattolici, e ho rispetto di entrambi le culture sia di quella laica che di quella cristiana, ma conosco una chiesa che non può parlare, e non può andare in Tv, che non può dissentire. Fortunatamente la TV perde spettatori e libri e teatro tengono. E se c’è una speranza, è proprio in una nuova generazione, che ha imparato a guardare la TV con occhi critici, e soprattutto non solo la TV.
FO: Incontro molti giovani, giro per le scuole. Trovo che hanno dei buchi, non conoscono la storia recente del nostro paese, non conoscono le lotte che si sono fatte, la stagione delle stragi, il terrorismo, sono confusi ed indecisi, ma alcuni gruppi hanno anche una dialettica del pensiero. E soprattutto noto che hanno la coscienza di avere un ritardo nella conoscenza, la modestia di ammettere di non sapere, la percezione di un’ignoranza. Io non sono così disperato.
BENNI: Nemmeno io, anche se molti lettori hanno trovato Margherita Dolcevita, il mio libro più triste e con un finale che lascia poco spazio alla speranza. Con questo libro forse io volevo solo dire che si vince ma non ci si salva. Ho provato a scrivere un finale positivo, ma sentivo che non era quello, sentivo che non era autentico e non era quello giusto per la storia, non ci poteva essere un finale diverso, i buoni libri sono invenzione ma un invenzione particolare, hanno una loro identità propria. E poi volevo ricordare a tutti, e per esempio anche ad una certa sinistra, che il risultato di una battaglia anche quella che viene vinta, non è la fine di tutto, che non porta ad una conclusione, dobbiamo essere capaci di ripartire, avendo coscienza dell’infinità di questa lotta, certi valori vanno continuamente riaffermati.
FO: La disperazione, la non speranza portata all’estremo, sposta il confine, è essenziale per poter dire, per poter far scrittura. La differenza tra il satirico ed il comico, è proprio il lavoro con la disperazione, con la disillusione. Il comico non è solo suscitare la risata, non è solo pancia, ma capire che contro il dolore c’è solo lo sberleffo. Ogni giorno nella vita e nei giornali c’è violenza, stupidità, incapacità, idiozia, che spesso ti tolgono ogni speranza. Io amo il gioco del ridere e della giocosità e la forza dissacratoria della pernacchia e dello sberleffo, perché quando la bocca si apre per far entrare il riso, entra anche il pensiero che va verso il cervello, e dalla bocca aperta la ragione entra e ti fa meditare e quella meditazione ti rimarrà sempre.

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