PoesiaRacconti

QUELLA VOLTA, PARIGI di Geppi Sanna

E’ stato così.
Infilati nelle pieghe della notte, ci siamo trovati. Ad annusarci.
Riconosciuti, pronti e via.
Il principio.

Poi è arrivato il fermo biologico. Mi sono voltato nel letto, schiena contro schiena, ed ho schiacciato un addio che mi veniva da dentro. Fuori c’era la neve ed una luce obliqua.
Tu hai sorriso alla parete bianca che volevi color crema, come quella volta a Parigi, in quell’hotel nella tua mente.

Perché a Parigi mica ci siamo mai stati, romantica letteraria come l’abbiamo sempre agognata, crocevia di razze e profumi.

Queste piccole cose ci sono morte dentro, quando ti parlavo in francese. E sorridevi col corpo se arrotavo le erre.

Abbiamo chiuso quel libro ed Henry Miller si è portato via le sue piattole sui viali di Clichy.

Notti insonni a scavare in bianco nero in quel bar del quartiere latino, dove le risse iniziavano e finivano nell’indifferenza di una entrecôte au roquefort bagnata da birra troppo dolce.
E French Fries With Kisses, le tue labbra mute ed i miei occhi in vetrina.

Neanche fossimo veri amanti decaduti ci siamo svegliati in una pagina.

A distanza di anni ti ho accarezzata ancora, fianchi, cosce e culo sodo.
Più nera del nero, più calda del caldo.
Hai agitato la lingua sull’ultimo minuto dell’anno spegnendo la luce dell’immaginazione. Diradando l’acre profumo della fantasia.

Quella volta, Parigi, in una libreria che sembrava una scatola di cioccolatini con cacao non inferiore al 70%.

Poi più nulla e forse Belleville. O le banlieu.
Certo l’ultima fermata a Chatelet-Les Halles.
Quel nero con la tuba.
Quel parigino bianco doc.
L’arabo nocciola ed il Maghreb sul volto.

Quel sorriso del treno mentre le nuvole cantavano alla luce il nostro buio.

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Origine - genesi sociale degli immaginari mediali - Direttore MICHELE INFANTE