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TEATRO E INTERNET Intervista a Nicola Savarese di Francesco Ruffini

TEATRO E INTERNET
Intervista a Nicola Savarese
di Francesco Ruffini

Quali sono i rapporti tra teatro e web?
Distinguerei almeno tre livelli. Livello uno, l’uso più comune: un soggetto teatrale – una compagnia, un’impresa – ha un sito per dare programmi, informazioni, aggiornamenti, liste di altri siti. Si tratta di un rapporto moderno con spettatori, habitué e, perché no, con clienti: anche se di cultura, siamo pur sempre consumatori. Possiamo per esempio acquistare tramite internet il biglietto per uno spettacolo come per un volo aereo. Questione di comodità. Al livello due ci sono i siti concepiti come riviste periodiche o database. Qui le informazioni su spettacoli, eventi, festival, incontri e stages sono più dettagliate, più critiche e di solito sempre aggiornate. E tramite interviste avviciniamo direttamente gli artisti. Nessun giornale o rivista cartacea può reggere il confronto con una rivista in rete, non tanto per la qualità ma per la quantità di dati disponibili: infatti in rete troviamo di solito anche tutti i numeri arretrati e possiamo dunque lanciare una ricerca diacronica. In questo settore vorrei mettere anche tutti quei siti di cultura teatrale come musei, biblioteche, mediateche, etc. che consentono un primo recupero di informazioni, immagini e testi provenienti da realtà teatrali di altre epoche e di altre civiltà. Insomma una fascia che possiamo definire il grado zero di una ricerca. Questi due primi livelli, per così dire di servizio, sono stati integrati da un terzo livello.

Di che tipo?
È il traguardo senza dubbio più interessante e creativo. Si tratta di fare “teatro in rete”. Intendiamoci non si tratta di una novità assoluta. Il teatro, lo spettacolo dal vivo, che prevede per definizione la compresenza di attori e spettatori in carne e ossa, ha avuto già queste tentazioni quando si è trovato di fronte, fin dagli inizi del ‘900, a forme di spettacolo mediatiche. Prima il cinema, poi la radio e infine la televisione hanno realizzato proprie forme di spettacolo, anche imitando il teatro, ma essenzialmente diverse. Questi nuovi spettacoli dei media hanno senza dubbio sottratto al teatro spettatori e spazi. Però ogni nuovo media ha anche costretto il teatro a ridefinire la propria arte, a trovare una sua strada sempre più caratteristica, e cioè sempre più concentrata sull’arte dell’attore. Ora con internet non è diverso: il teatro si deve confrontare con l’arrivo dell’ultimo dei media.

E cosa si fa in rete a questo livello?
Di tutto. C’è lo spettacolo che viene fatto a Melbourne e lo puoi vedere in contemporanea a Tokyo e a Parigi modificando in diretta l’azione degli attori che così cambia sotto i tuoi occhi. C’è poi la formazione di un pubblico critico, di quello che si iscrive ai forum, capace di commentare in diretta, o subito dopo la fine dello spettacolo, la vicenda appena vista. C’è poi l’avverarsi del sogno di molti spettatori: essere “registi”, anche un po’ sadici, e teleguidare degli attori tramite piccoli impulsi elettrici, magari suggerendo loro le battute di un dialogo che diviene così un dramma improvvisato da due autori diversi e assai distanti. Insomma qualcosa che sta tra i videogame e gli psicodrammi collettivi. Per ora ci si limita a questi videogiochi con persone vere, ma si può dire che, quasi ogni giorno, qualcuno aggiunge un suo diversivo a queste possibilità di base. E le esperienze, favorite proprio dalla rapida diffusione tramite internet, suggeriscono così nuove pratiche.

Ma con il “teatro in rete” non si rischia di fare della televisione, per di più tecnicamente imperfetta?
Certamente, il rischio è questo: ma siamo anche appena agli inizi. Una cosa è sicura: storicamente tutte le innovazioni tecnologiche del ‘900 sono state usate anche dagli artisti. Basta sfogliare i cataloghi dei futuristi, dei surrealisti, dei dadaisti o dei performer degli anni settanta per rendersene conto. E anche il teatro non si è sottratto all’incontro con la concorrenza del cinema, della radio o della televisione. Così oggi accade anche per internet: viene usato per fare arte. Le arti visive utilizzano gia “normalmente” internet. Il Moma di New York un paio di anni fa ha acquistato, e con danaro sonante, “opere in rete”. Qualcuno si può domandare cosa in realtà abbia acquisito il museo… Per noi visitatori in realtà non fa differenza: portiamo a casa la memoria di un bel quadro, che so, di Tiziano o di Pollok, come portiamo a casa l’esperienza di aver visto dentro uno schermo collegato a internet un’opera magari in movimento. La stessa cosa potremmo dire del teatro in rete. Cosa si compra con un biglietto teatrale? L’esperienza di una rappresentazione, la memoria di un’esperienza, nel migliore dei casi la sensazione di aver esteso la nostra conoscenza e comprensione del mondo che ci circonda. In fondo potresti conservare lo stesso ricordo, la stessa visione di un passaggio interattivo in internet. Alla cattiva televisione puoi reagire cambiando canale o spegnendola. Al cattivo teatro in rete puoi reagire modificandolo perché il collegamento ad internet è interattivo.

Mi sembra che il teatro sul web si confonda un po’ con le arti visive, con certe istallazioni che si trovano nelle gallerie o in particolari esposizioni.
Il confine è senz’altro sottile. Ma c’è una differenza, come ovviamente c’è diversità fra “teatro in rete” e “teatro dal vivo”. Nelle arti visive, di solito, quando l’artista ha fatto l’opera, poi la licenzia e l’opera segue una sua strada. Nei musei trovi l’opera, ma difficilmente anche l’artista che te la spiega. Potresti trovarlo al museo forse solo nel giorno d’ingresso della sua opera nell’edificio. Ma poi il creatore torna nel suo atelier e l’opera resta sola. Il teatro invece è un’arte un po’ speciale, dove l’opera coincide con l’artista. L’attore non è solo il tramite di un’opera, è l’opera stessa. In teatro, se non c’è l’attore non solo non c’è arte ma in fondo non c’è neanche… teatro. Almeno non nei termini in cui teatro si fa e si vede da ben 2500 anni.

Dunque per il teatro in rete non si può parlare di teatro…
Si tratta in effetti di una definizione provvisoria e un po’ provocatoria. Occorre trovare un termine più adatto a quest’arte neonata. Perplessi, sotto la tenda del circo, aspettiamo gli artisti. In fondo tutti i grandi attori di teatro del ‘900 hanno saputo piegare i nuovi media e le nuove tecnologie alla loro necessità. Penso alle grandi, eccezionali commedie di Edoardo De Filippo in TV che hanno trasformato il modo di fare teatro in televisione. Non parliamo di quello che hanno saputo fare con una videocamera artisti come l’americano Bill Viola. E penso soprattutto a come Carmelo Bene abbia stravinto la sua personale sfida con la televisione, il cinema e la radio costringendoli a dare quello che lui voleva, e sapeva, tirarne fuori. Nei suoi film, il montaggio di rapide sequenze ha sicuramente anticipato il mondo fulmineo e apparentemente casuale dei videoclip musicali e della moderna pubblicità. Il suo film Nostra Signora dei Turchi ha inventato addirittura un ritmo. Dunque occorre trovare mosse analoghe: sarà banale ma il problema è di avere fantasia. Internet, che è uno strumento giovane di dieci anni, consentirà agli artisti di trovare un modo che sia il segno di una nuova arte? Allora verrà anche il nome. Questione di tempo.

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