SCRITTORI SULLO SCHERMO (saggio). [ORIGINE n. 3]
SCRITTORI SULLO SCHERMO
di Vito Zagarrio
«Gli scrittori nei film sono tutti esaltati o depressi». Così titola “La Repubblica” un articolo di Paolo Mauri che, prendendo spunto da The Hours di Stephen Daldry, riflette con un po’ di ironia sulla rappresentazione dello scrittore al cinema. Il poeta Richard, malato terminale di Aids – dice Mauri – si butta dalla finestra davanti all’unica donna della sua vita, Virginia Woolf ha un rapporto conflittuale con l’arte e poi si ammazza: «l’impressione è che spesso il cinema voglia sfruttare un’idea romantica dello scrittore: genio e follia, esaltazione e depressione». E Mauri ha buon gioco nell’irridere a certi stereotipi dello scrittore (potenzialmente) matto, il cui caso estremo è il Jack Nicholson di Shining, «che digrigna i denti come un demonio».
Ma il gioco del giornalista di “Repubblica” sembra anche un poco superficiale. Non è solo nel cinema, intanto, che lo scrittore appare spesso in crisi, ma lo è – metalinguisticamente – nello stesso romanzo. E d’altra parte lo scrittore viene visto come personaggio paradigmatico, come icona di un intellettuale che per la propria natura non può essere “leggero”. Dall’intellettuale e dallo scrittore passano tutti i rovelli del mondo, è giusto che sia così e che il cinema ne rifletta questa emblematica natura. E comunque non è vero che le uniche figure di scrittori rappresentate nel film siano antipatiche o disperate (Mauri cita l’intellettuale saccente che critica continuamente Guido, il protagonista di Otto e mezzo, e Steiner, l’altro intellettuale de La dolce vita, che finisce con l’uccidersi uccidendo anche i propri figli): ricordo ad esempio lo sceneggiatore Belmondo in Come si distrugge la reputazione dell’agente segreto più famoso del mondo di Philippe De Broca, che con la sua macchina da scrivere ha il potere di modificare comicamente l’immaginario; oppure penso al poetico rapporto tra lo scrittore e la protagonista in Il maestro e Margherita. Lo scrittore può essere descritto persino in modo leggero, da Calvino, nelle sue riflessioni autobiografiche, o addirittura visto nei suoi privati più intimi, come nel caso di alcuni film su Svevo o su Joyce.
Insomma, il caso della rappresentazione dello scrittore nel film è ben più ampio, e meriterebbe una ben più articolata disamina che non nel corsivo di Mauri. Potrebbe essere lo spunto per una bella tesi di laurea.
Intanto finisco tirando le orecchie di Mauri per la filologia: Mauri cita – peraltro in modo impreciso – la frase ossessiva che lo scrittore impazzito di Kubrick scrive sulla sua tipewriter: “Le ore del mattino hanno l’oro in bocca”. In realtà, avrebbe dovuto citare l’originale frase in inglese, che è ben più inquietante: “Too much work and no play make Jack a dull boy”. Che è anche una riflessione sulle stesse ossessioni dello scrittore e dell’intellettuale, specie se “di sinistra”.