Recensioni TEATRO

Il Don Giovanni di Michele Placido

in ESCLUSIVA ALLA PRIMA PER LA RIVISTA ORIGINE, l'inviato Roberto Balzano

Teatro Regio – Torino
(15-24 febbraio 2013)
Dramma giocoso in due atti Libretto Lorenzo Da Ponte Musica Wolfgang A. Mozart

Direttore Christopher Hogwood
Regia Michele Placido

Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino

Tutta la prima parte de Gli stadi erotici immediati, uno degli scritti che compongono “Enten-Eller” di Kierkegaard, è incentrata sul tentativo di dimostrazione della incomparabile superiorità del Don Giovanni di Mozart rispetto a qualsiasi altra opera artistica. Attraverso la categoria del classico l’autore si impegna a convincere i suoi lettori di quanto questa sia la più adatta a definire l’opera mozartiana, che anzi deve essere considerata la più classica tra tutte le opere artistiche. Ma che cos’è il classico per l’autore? «È solo dove l’idea ha trovato riposo e trasparenza in una forma determinata che si può parlare di opera classica, solo così essa potrà resistere ai tempi». Il classico è l’inscindibilità della materia dalla sua forma, è l’unione del momento e del luogo, è la forma perfetta che si fa tutt’uno col suo contenuto, e che, trovando così la sua compiutezza che è perfezione, si situa in qualche modo al di fuori del tempo. Il classico non passa mai di moda, il classico emoziona sempre ed è oltremodo attuale, e questo suo carattere evidentemente ci dice che in esso qualche principio è in azione, il quale rende impossibile una sua completa e definitiva interpretazione e, pertanto, ci invita, o ci obbliga, a una continua inesausta esperienza di esso.

In quel caso, di prammatica nel panorama della letteratura mozartiana, dovendo l’autore presentare se stesso quale campione di un modello di vita, che tra l’altro indulge compiaciuto al proselitismo, egli chiama in qualche modo Don Giovanni a fornirgli le necessarie garanzie, a fare quasi da battistrada e senza dubbio da bussola. L’eroe mozartiano, lodato e esaltato, assume il ruolo irrinunciabile di esempio, consentendo un’indagine sulla seduzione e sull’ideale erotico, che non è circoscrivibile affatto entro i limiti di una fredda e razionale analisi, nella misura in cui da essa risalta in ogni momento lo sforzo di una ininterrotta tensione ideale: non solo a Don Giovanni in quanto personaggio, ma a tutto il suo universo, viene conferito e riconosciuto un valore paradigmatico. Nei suoi confronti si instaura una sorta di volontà di appropriazione e assimilazione, e attraverso questo scambio ininterrotto si rende verificabile in ogni istante la misura di maggiore o minore realizzazione di un ideale esistenziale estetico.
Il Don Giovanni che agisce dentro una situazione, fa di questa un elemento pulsante e vivo alla sua stessa stregua. E di questa forza, che per certi aspetti è anche un sortilegio, si nutre da più di due secoli la sterminata platea dei suoi spettatori. Una sorta di chiamata in vita del personaggio Don Giovanni, una specie di invocazione e sovrapposizione a esso, che lo fa uscire dalle strettoie della finzione melodrammatica per renderlo una materia pulsante, reale e tangibile presenza, ovvero estetica nella originaria accezione etimologica del termine.

D’altronde soltanto nella veste musicale mozartiana e dapontiana Don Giovanni diviene realmente se stesso e può indefinitamente far detonare la sua carica vitalistica, facendosi espressione di uno stadio impenitentemente e irrevocabilmente erotico dell’esistenza: esso non si realizza compiutamente che con la musica, anzi, ancor più precisamente, esso si realizza nella musica. Egli è l’essenza stessa della musica, il vero ideale musicale. Come la musica miracolosamente si compie per poi svanire senza lasciar traccia, così Don Giovanni attraversa la scena del dramma e la vita stessa. E in questo senso l’estetico non si realizza giammai definitivamente, concretizzandosi invece soltanto quale persistente inseguimento dell’istante. In questo senso non si dà alcuna possibilità di distinzione tra il teatro e la vita. Una volta terminata, la musica continuerà lo stesso a far risuonare le sue note nella mente, e questo costituisce esaltazione ma anche dannazione. La traccia è un addivenire mai realizzato, un frastornante ripetersi della melodia dentro la mente, e il tentativo che mai va in porto di afferrarla e trattenerla. La sostanza, l’intrinseca forma della musica è proprio questa, ed essa è Don Giovanni, egli vi corrisponde completamente. Pertanto, il suo portato non può che essere sotto le insegne di una seduzione che, una volta iniziata, non può più affievolirsi, anzi è destinata a radicalizzarsi, e si pone come scelta assoluta. In un processo simbiotico di complicazione la scena si fa vita e la vita diventa tutt’uno con la recita di essa.

Ancora per Kierkegaard, Don Giovanni sintetizza e sublima completamente i tre stadi erotici della vita: quello sognante, quello cercante, e infine quello desiderante. Più propriamente anzi il terzo di questi stadi, che egli simboleggia, racchiude e contiene i primi due. Solo attraverso quindi il desiderio e la sua manifestazione va pienamente conformandosi la fisionomia dell’ideale del seduttore, ovvero di colui che vi dà forma e struttura. È il modo stesso delle sue forsennate peripezie a innescare un continuo lavorio di identificazione e immedesimazione in tutte le figure che vi vengono in contatto. Il personaggio Don Giovanni è chiaramente configurato con contorni malsicuri, con una certa incontestabile ambigua fuggevolezza. Egli attraversa imperturbabile mille situazioni di pericolo, è assassino, viene costantemente braccato e inseguito, ma la sua ricerca del piacere non è suscettibile di condizionamenti o limitazioni. Don Giovanni non può cambiare, ha in sé la sua compiutezza che è quella dell’estetico e dell’esteta. Niente e nessuno può turbarlo, non il fantasma del Commendatore, tanto meno la morte che da questi gli viene inflitta. Anzi, tanto estranea gli è l’idea della fine, che all’atto della sua discesa all’inferno egli si sottrae alla scena, sprofonda tra la fiamme, ma ciò accade mentre è ancora in vita, con il coro di diavoli che lo reclama e Leporello che assiste attonito. Don Giovanni è sprezzante: non si pente, né si redime. Si mostra totalmente refrattario ed estraneo a qualsiasi ipotesi di tentennamento o di dubbio, e in questo senso la sua consistenza di personaggio risulta effettivamente problematica. Ma ciò accade perché Don Giovanni non è per niente un normale personaggio: egli è una funzione, il suo passaggio è una scia di stordimenti, e la sua è propriamente la consistenza stessa del diavolo.
Come dal tocco del diavolo, da Don Giovanni, dalle sue azioni e parole, si diparte quasi un’infezione epidemica che causa ingestibili e parossistiche turbolenze in tutti quelli che vi vengono in contatto. La sola presenza di Don Giovanni è sufficiente per generare un’irrimediabile contaminazione in tutti.

Il suo è, quindi, un incantesimo veramente diabolico, che infatti può essere neutralizzato, tra l’altro provvisoriamente e in maniera malsicura, solo dall’intervento di qualcosa di altrettanto soprannaturale. Don Giovanni agisce come un potente fattore di destabilizzazione sulle storie e sui sentimenti di tutti, appropriandosene quasi inavvertitamente e in via del tutto preterintenzionale. In tal senso si può ben dire che il Don Giovanni rappresenta una sorta di deontologia della sfera estetica, ossia la sfera estetica così come dovrebbe essere, vissuta pienamente e interamente senz’alcuna interferenza della riflessione dello spirito e della coscienza, elementi che, mentre ne turberebbero la gioiosità e la schiettezza, ne comprometterebbero l’immediatezza insinuandovi l’angosciante senso del peccato. Dal profondo della sua assoluta corrispondenza con l’estetico qualche principio agisce, al cui potente richiamo, senza alcun pentimento, nessuno è in grado di sottrarsi.

A direzionare i comportamenti del seduttore e dare fondamento al suo agire vi è un costante e inappagabile desiderio. Don Giovanni seduce perché desidera, e in questo modo si determina quell’incessante flusso di pulsioni che lo anima. Ma si tratta di un desiderio tanto incontenibile quanto incontentabile, dacché siamo dinanzi a un’assolutizzazione del desiderio, una specie di interminabile anelito. Questa forma estrema dell’erotico si nutre esclusivamente di ciò che non ha o non ha ancora, e dentro la tensione continua, che ne consegue, essa rigenera incessantemente se stessa. Quel che innesca la seduzione è il desiderio. Ma per il vero seduttore questo non si dà che limitatamente e provvisoriamente in una configurazione ben determinabile e precisa. E questo per la semplice ragione che esso resta per lui in qualche modo sempre indefinibile e equivoco, senza oggetto, senza altro scopo che se stesso. Esso si situa nella zona di un principio universale e non negoziabile, e tramite esso, in totale completa adesione, il seduttore trova e realizza la via della propria vita. Il suo è un desiderio desiderante. Il suo amore non è psichico ma sensuale, e l’amore sensuale secondo il suo concetto non è fedele, ma assolutamente privo di fede, non ama una ma tutte, vale a dire seduce tutte. L’amore psichico è tormento, l’innamorato dubita ed è inquieto. Il seduttore sensuale invece no, egli non ha tempo per queste sfumature e non esita a ignorarne le conseguenze. Per Don Giovanni è sempre questione di attimi, per lui vedere e amare sono una cosa sola. Il circolo desiderio-seduzione-appagamento pone all’infinito le condizioni per la ricerca continua di un nuovo oggetto. E in questa luce trova finalmente spiegazione l’assoluta leggerezza con cui Don Giovanni compie i suoi misfatti: perché i suoi inganni sono gli inganni stessi della seduzione, è la sua natura. Ed è qualcosa con cui le sue vittime si pongono subito in sintonia, perciò si lasciano sedurre con tanta arrendevolezza. In fondo ciò che le inganna è la potenza stessa della sensualità. Non si tratta né delle parole né di nessun’altra cosa che Don Giovanni possa addurre con consapevole scaltrezza: è manifesto che egli agisca con totale onestà. Siamo semplicemente nel campo dell’estetico, e non contano le parole né i ragionamenti che vi si possono costruire.
Un vortice di note avvolge e cattura l’esteta e gli conferisce una forza di coinvolgimento che egli va esplicando con ininterrotta passione verso gli altri. A ben guardare siamo dinanzi a qualcosa che si svolge con caratteristiche assimilabili a quelle di una vera e propria iniziazione. Non a caso gli elementi demoniaci abbondano: primo fra tutti un procedere dell’azione via via più esagitato, proprio come durante le liturgie misteriche.

***
La messinscena in abiti belle époque del Regio, sembra cogliere e volere salvaguardare la trama complessa e dirompente delle implicazioni dell’opera e del suo protagonista. Il suo compiersi quasi miracoloso nel connubio tra i versi di Da Ponte e le melodie della partitura mozartiana, splendidamente eseguita.

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